PARERE

Si è rivolto al nostro Studio il “Collegio Professionale Europeo degli Esperti Traders e degli analisti finanziari” al fine di avere un chiarimento normativo e fiscale in ordine allo svolgimento, a titolo professionale, dell’attività di trader sui mercati finanziari, nonché tutte le mansioni del Professionista Trader e analista finanziario legate a questa attività (trading online in proprio, consulenza, docenza, attività peritale, ecc.).
In sostanza, l’Ente chiede di comprendere i profili autorizzatori e gli eventuali requisiti (Banca d’Italia, Consob, ecc.) di tale attività che non va scomposta, e che per meglio comprenderla, va analizzata nelle singole mansioni professionali, svolte dal Professionista e fortemente connesse tra loro quali:

  • Trading di prodotti finanziari su mercati, regolamentati e non, mediante operatori finanziari autorizzati (banche, intermediari, ecc.) esclusivamente con propri danari e senza attività di raccolta fondi presso terzi;
  • Attività di consulenza a terzi in materia di trading finanziario come sopra descritta;
  • Attività di docenza di Educazione e Trading finanziario a terzi rispetto alle mansioni professionali sopra riportate;
  • Attività peritale in ordine a fattispecie di consulenza giudiziale e stragiudiziale nelle materie sopra menzionate;
    Inoltre, ci viene chiesto di comprendere il regime fiscale da applicare a tale attività, sia ove svolta in forma di professionale, individuale che in forma societaria e associata, alla luce anche di pareri, circolari e interpelli dell’Agenzia delle Entrate.
    A tale proposito la legge 14 gennaio 2013 n. 4, in attuazione dell’art. 117, terzo comma, della Costituzione e nel rispetto dei principi dell’Unione europea in materia di concorrenza e di libertà di circolazione, disciplina le professioni non organizzate in ordini o collegi, all’art. 1 comma 2, stabilisce che per «professione non organizzata in ordini o collegi», si intende l’attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, mentre il comma 3, del medesi art. 1, così recita: Chiunque svolga una delle professioni di cui al comma 2 contraddistingue la propria attività, in ogni documento e rapporto scritto con il cliente, con l’espresso riferimento, quanto alla disciplina applicabile, agli estremi della presente legge. L’inadempimento rientra tra le pratiche commerciali scorrette tra professionisti e consumatori, di cui al titolo III della parte II del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206, ed è sanzionato ai sensi del medesimo codice.
    Appurato che il Professionista di attività non regolamentata è colui che svolge in prevalenza attività intellettuale e che il medesimo ha obbligo di fare riferimento alla legge 14 gennaio 2013 n. 4 pena esposizione a sanzioni, occorre Citare i commi 3 e 4, dell’art.1: L’esercizio della professione è libero e fondato sull’autonomia, sulle competenze e sull’indipendenza di giudizio intellettuale e tecnica, nel rispetto dei principi di buona fede, dell’affidamento del pubblico e della clientela, della correttezza, dell’ampliamento e della specializzazione dell’offerta dei servizi, della responsabilità del professionista. La professione è esercitata in forma individuale, in forma associata, societaria, cooperativa o nella forma del lavoro dipendente.
    A ciò va considerato che all’art. 5, lettera d) dalla quale si rileva l’obbligo per l’Associazione Professionale di garantire “la presenza di una struttura tecnico-scientifica dedicata alla formazione permanente degli associati, in forma diretta o indiretta”, e che per Formazione Permanente viene intesa quella prevista dall’articolo 4, comma 51 della Legge 28 giugno 2012, n. 92, “In linea con le indicazioni dell’Unione europea, per apprendimento permanente si intende qualsiasi attività intrapresa dalle persone in modo formale, non formale e informale, nelle varie fasi della vita, al fine di migliorare le conoscenze, le capacità e le competenze, in una prospettiva personale, civica, sociale e occupazionale.
    La Commissione Tecnico scientifica del Collegio Professionale Europeo Esperti Trader e Analisti Finanziari in forza dei richiami di legge su descritti, nello svolgimento delle sue funzioni ha stabilito che:
    a) Le mansioni professionali del Professionista Trader e Analista finanziario sono:
  1. Trading online;
  2. Relazioni tecniche su Asset del Trading online;
  3. Docente in corsi in materia di Trading Finanziario;
  4. Perizie/Stime nel settore del Trading online
    b) Programma formativo del Professionista per ciascun livello professionale;
    c) Programmazione degli aggiornamenti tecnici di cui all’art. 5 lettera e, della legge 14 gennaio 2013 n. 4.
    Inoltre l’Associazione ha previsto che i propri iscritti possono chiedere Certificazione delle competenze presso un Organismo di Certificazione.

Alla luce di quanto sin qui descritto appare inopinabile che il Professionista Trading e Analista finanziario, svolge le sue mansioni nell’esercizio della Professione lecitamente e ai sensi della citata legge dello Stato.
Si rileva quindi che le mansioni svolte dal Professionista possono subire variazioni o modifiche solo se stabilite dalla Commissione tecnico-scientifica in specie, del Collegio Professionale Europeo Esperti Trader e Analisti finanziari – CPE Trader, nell’ambito delle funzioni demandate a tale commissione dalla legge 13 gennaio 2013 n. 4, e che l’eventuale divisione delle mansioni del Professionisti ad opera di altri non contemplati nella citata legge, solleverebbe una palese contrapposizione alle funzioni della commissione di cui all’art. 5 lettera e della citata legge.
Sotto il Profilo fiscale il Professionista come accade per tutte le Professioni regolamentate e non regolamentate, nell’esercizio della sua attività è soggetto alla tassazione con aliquota di riferimento per tutte le mansioni svolte e legalmente contemplane nella Professione esercitata 5% start up e 15% dopo 5 anni così come in seguito descritte.
In riferimento alla direttiva Mifid II, la stessa al punto 28 esclude che la medesima sia applicabile al Professionista. Ciò apre alla libera contrattazione tra le Parti per la quale il CPE Trader nella sua qualità di rappresentante della categoria, accreditato presso la Commissione e il Parlamento Europeo e la Camera dei Deputati, ha già chiesto a Consob l’istituzione di un tavolo di discussione alla presenza di una rappresentanza degli intermediari finanziari allo scopo di giungere ad un accordo quadro con validità sul territorio nazionale.
Appurato dunque il profilo tecnico e professionale, il Professionista può svolgere oltre all’attività in forma individuale, anche quella nella forma del lavoro dipendente, in forma associata, societaria, cooperativa così come previsto dall’art. 1 comma 5 della legge 14 gennaio 2013 n. 4, in seguito approfondita e descritta, sia la forma associata che la parte imprenditoriale.
Bisogna considerare che, decidendo di percorrere la via societaria, non possono essere ignorati gli indirizzi promossi dalla Commissione e dal Parlamento Europeo, dall’ESMA e dalla Consob, in tema di tutele per il consumatore.
Nel merito, la Consob già con la comunicazione n. DI/30396 del 21 aprile 2000 individuava delle regole di comportamento del Trader ricordando che, la modalità di prestazione on line del servizio, non esonera gli intermediari dal rispetto delle regole vigenti in tema di informativa preventiva da rendere all’investitore.
I regolamenti Consob, tuttavia, permetto che gli obblighi inerenti alla consegna delle documentazioni sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari, possano essere assolti anche tramite pubblicazione sul sito Internet. L’unica, effettiva prescrizione, è che l’intermediario si doti di strumenti tecnici idonei a poter dimostrare l’avvenuta consegna dei documenti informativi ai clienti.
Anche gli orientamenti dell’ESMA resi con comunicazione ESMA/2014/1293it sono allineati, infatti invitano gli stati ad armonizzare le informative finanziare fornite agli investitori nell’ottica di renderle più trasparenti, ciò in quanto rilevanti ai fini del processo decisionale degli investitori stessi.
In tale ottica l’ESMA ha suggerito l’adozione di specifiche procedure di controllo sull’informativa di cui le principali sono: a) l’esame approfondito delle relazioni finanziarie annuali e intermedie (consolidate); b) la formulazione di quesiti indirizzati all’emittente; c) il ricorso ad esperti esterni, laddove ciò sia ritenuto necessario per migliorare la conoscenza del settore industriale o per avere a disposizione altre conoscenze specialistiche; d) lo scambio di informazioni relative all’emittente con altre divisioni dell’autorità di vigilanza, e) le ispezioni in loco.
Anche la normativa europea più recente, realizzata con la MiFID II, ha fortemente rafforzato la tutela del consumatore prevedendo un’espansione degli obblighi di comunicazione con il cliente. Oggi, l’impresa che opera da consulente o gestisce il portafoglio, non dovrà solo fornire le informazioni corrette ed adeguate ma anche raccogliere quelle che riguardano i clienti. Quindi sarà necessario capire il profilo del consumatore, i suoi obbiettivi, la sua propensione al rischio e sondare le sue conoscenze effettive del prodotto offerto.
Nel caso in cui il singolo prodotto finanziario risulti integrato all’interno di un pacchetto complesso, l’operatore dovrà, ulteriormente, fornire all’investitore non solo il profilo di rischio del singolo prodotto ma quelli relativi all’intero pacchetto.
In ogni caso, è sempre necessario, che il consulente spieghi in maniera chiara all’investitore perché l’investimento proposto risulta essere coerente con le esigenze del consumatore.

Indice argomenti:

  1. La promozione e il collocamento a distanza di servizi di investimento e strumenti finanziari
  2. L’abilitazione a svolgere l’offerta a distanza
    2.1 I requisiti richiesti dal D. M. del Ministero dell’Economia e della Finanza del 23 novembre 2020, n. 169 – qualora l’attività non sia svolta ex lettere a) e b) del 5° co. del TUF
    2.1.1 Onorabilità ai sensi del D.M. 169/2020
    2.1.2 Correttezza ai sensi del D.M. 169/2020
    2.3 Professionalità per i soggetti che ricoprono cariche con funzioni di amministrazione e direzione ai sensi del D.M. 169/2020
  3. Trading di prodotti finanziari su mercati, regolamentati e non, mediante operatori finanziari autorizzati (banche, intermediari, ecc.) esclusivamente con propri danari e senza attività di raccolta fondi presso terzi
    3.1 Sistemi di verifica della Consob nel caso di operatività, anche in proprio, sui mercati non regolamentati
  4. Attività di consulenza a terzi in materia di trading
  5. Attività di docenza a terzi rispetto alle attività sopra riportate
  6. Attività peritale in ordine a fattispecie di consulenza giudiziale e stragiudiziale nelle materie sopra menzionate
  7. Regime fiscale: introduzione
    7.1 I regimi fiscale del trading per le persone fisiche, le società semplici e soggetti equiparati, gli enti non commerciali
    7.2 I regimi fiscale del trading per le persone giuridiche
    7.3 Attività di negoziazione per conto proprio e gestione del proprio patrimonio
    7.4 Il trattamento fiscale della partecipazione agli OICR
    7.5 Il trattamento fiscale sul trading alla luce dei recenti pareri, circolari e interpelli dell’Agenzia delle Entrate
  8. Codici ATECO
  9. La promozione e il collocamento a distanza di servizi di investimento e strumenti finanziari
    L’utilizzo di Internet, e nella specie il trading on line, deve inquadrarsi nell’ambito delle tecniche di comunicazione a distanza individuate nell’art. 32 del TUF .
    Tale articolo stabilisce la definizione dell’attività di promozione e collocamento a distanza di servizi di investimento e di strumenti intesi come “le tecniche di contatto con la clientela, diverse dalla pubblicità, che non comportano la presenza fisica e simultanea del cliente e del soggetto offerente o di un suo incaricato”.
    In questi casi la disciplina è demandata alla Consob che, d’intesa con la Banca d’Italia, ne regolamenta il funzionamento in conformità dei principi stabiliti negli articoli 30 e 30-bis del TUF e nel decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 190.
    Nello specifico, occorre ricordare brevemente quanto previsto del citato art. 30 del TUF che, in modo cristallino, viene ad inquadrare il concetto di “offerta fuori sede” come l’attività di promozione e posizionamento di:
    a) “strumenti finanziari in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze dell’emittente, del proponente l’investimento o del soggetto incaricato della promozione o del collocamento;
    b) servizi e attività di investimento in luogo diverso dalla sede legale o dalle dipendenze di chi presta, promuove o colloca il servizio o l’attività”.
    Giova precisare che l’offerta fuori sede non costituisce un servizio di investimento ma, più precisamente, può essere qualificata come una modalità di esecuzione dei servizi di investimento.
    La disciplina del servizio in parola, contenuta prima nel decreto Eurosim e successivamente demandata al TUF, mira a tutelare il comune risparmiatore nell’intento di consentirgli di investire in modo proficuo i propri capitali.
    Tant’è vero che il legislatore non ritiene che possa costituire offerta fuori sede quella effettuata nei confronti di investitori professionali.
    In tale ottica, infatti, per esplicita esclusione disposta dal commi 4 dell’art. 30 del TUF, non si applica la disciplina del collocamento a distanza qualora l’attività sia realizzata attraverso “le SIM, le imprese di investimento UE, le imprese di paesi terzi, le banche, gli intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del Testo Unico bancario, le SGR, le società di gestione UE, i GEFIA UE e non UE possono effettuare l’offerta fuori sede dei propri servizi e attività di investimento”.
    Inoltre, nel caso in cui l’offerta abbia per oggetto servizi e attività prestati da altri intermediari, le SIM, le imprese di investimento UE, le imprese di paesi terzi e le banche, devono essere necessariamente autorizzate allo svolgimento dei servizi di investimento finanziario, così come definiti dall’articolo 1, comma 5, lettere c) o c-bis del TUF .
    Alla luce di queste necessarie precisazioni, utili a comprendere l’inquadramento del trading nell’impianto normativo di riferimento, è ora possibile procedere all’esame dei requisiti necessari per realizzare l’attività di trading. Il tutto, ovviamente, tenendo conto anche delle abilitazioni necessarie per svolgere l’offerta a distanza di prodotti finanziari in modo professionale.
  10. L’abilitazione a svolgere l’offerta a distanza
    In base al disposto dell’art. 1, co. 5 lett. c del TUF, l’offerta a distanza di prodotti finanziari, è riservata agli “intermediari autorizzati”, ovvero alle imprese di investimento, alle banche autorizzate nonché, ai sensi dell’art. 18 co 3 del TFU agli intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del testo unico bancario.
    Questi soggetti, rispettando minuziosamente le condizioni stabilite dalla Banca d’Italia e della Consob, possono esercitare professionalmente nei confronti del pubblico, i servizi e le attività previsti dall’articolo 1, comma 5, lettere a) e b), limitatamente agli strumenti finanziari derivati, nonché il servizio previsto dall’articolo 1, comma 5, lettere c) e c-bis).
    In modo più chiaro le predette attività sono da definirsi come quelle inerenti alla negoziazione per conto proprio (art. 1, lettere a) comma 5 del TUF) e all’esecuzione di ordini per conto dei clienti (art. 1, lettere b) comma 5 del TUF) ma limitatamente ai soli strumenti finanziari derivati.
    Possono aggiungersi, senza limitazioni, le attività previste per i servizi di assunzione a fermo e/o collocamento, sulla base di un impegno irrevocabile nei confronti dell’emittente (art. 1, lettere c) comma 5 del TUF), e di il collocamento senza impegno irrevocabile nei confronti dell’emittente (art. 1, lettere c-bis) comma 5 del TUF).
    Parimenti, tale attività è consentita in favore di quei soggetti che rispondano alle disposizioni dell’art. 107 del D. Lgs. n. 385/1993 (c.d. Testo unico bancario o TUB) e s.m. e i. ovverosia gli intermediari finanziari che, previa autorizzazione della Banca d’Italia, siano strutturati come società per azioni, in accomandita per azioni, a responsabilità limitata e cooperativa e che, al contempo, abbiano la sede legale e la direzione generale siano situate nel territorio italiano.
    Quanto al capitale sociale richiesto per questi soggetti, così come previsto dalla lettera c) dell’art. 107 del D. Lgs. 385/93, esso non può essere inferiore a quello “determinato dalla Banca d’Italia anche in relazione al tipo di operatività”.
    Pertanto sarà necessaria una specifica indicazione della singola attività materialmente svolta in modo da poter stabilire il parametro di riferimento.
    È giusto il caso di aggiungere che, per iniziare l’attività di promozione e il collocamento a distanza di servizi di investimento e strumenti finanziari, deve essere presentato, presso la Banca d’Italia, un dettagliato programma concernente l’attività iniziale e la struttura organizzativa.
    Inoltre è obbligatorio presentare anche copia dell’atto costitutivo e dello statuto.
    A fronte di tali documenti, la Banca d’Italia verificherà, se nella società vi siano soggetti titolari di partecipazioni significative in istituti bancari onde stabilire se, gli stessi, hanno la concreta sussistenza dei requisiti utili al rilascio dell’autorizzazione prevista dall’art. 19 del D. Lgs. n. 385/93.
    In una seconda fase, la Banca d’Italia dovrà verificare, così come previsto dall’art. 110 del TUB, se i soggetti che svolgeranno funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso l’intermediario finanziario in costituzione, posseggano i requisiti previsti dall’art. 26 del decreto in parola.
    Nel concreto, i presupposti richiesti dall’articolo appena citato sono: a) la professionalità, la onorabilità e l’indipendenza; b) l’idoneità a soddisfare criteri di competenza e correttezza, nonché la disponibilità a dedicare il tempo necessario all’efficace espletamento dell’incarico. Quest’ultimo requisito, in totale sintonia con quanto richiesto per l’espletamento delle attività di vertice degli istituti bancari, è stato inserito nell’ottica di garantire la sana e prudente gestione dell’ente.
    Al fine di ovviare eventuali dubbi, non può tralasciarsi il disposto del 1° co. dell’art. 106 dal TUB che, apparentemente sembrerebbe preclusivo, poiché stabilisce che l’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma , è riservato agli intermediari finanziari autorizzati, iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia.
    In verità, però, il 1° co. dell’art. 106 del TUB è applicabile solo nell’ipotesi in cui l’attività sia esercita in favore di terzi soggetti, ovvero nei riguardi del pubblico.
    In altre parole, laddove, come nel caso di nostro interesse, l’attività di negoziazione riguardi l’offerta di prodotti a distanza realizzati per conto proprio (art. 1, lettere a) comma 5 del TUF) e all’esecuzione di ordini per conto dei clienti (art. 1, lettere b) comma 5 del TUF) ma limitatamente ai soli strumenti finanziari derivati, non si rilevano problemi.
    Ed invero, quanto detto è esplicitamente stabilito dalla lett. b) del co. 2 dell’art. 106 del TUB che, per l’appunto, viene a garantire tale attività purché sia limitata ai due campi di applicazione ora descritti.
    In tutti gli altri casi sarà necessario rispettare, non solo le disposizioni ora evidenziate ma, anche, i requisiti del D. M. del Ministero dell’Economia e della Finanza del 23 novembre 2020, n. 169 che si ritiene utile evidenziare così da consentirne l’esame di raffronto.

2.1 I requisiti richiesti dal D. M. del Ministero dell’Economia e della Finanza del 23 novembre 2020, n. 169 – qualora l’attività non sia svolta ex lettere a) e b) del 5° co. del TUF
Qualora l’attività di servizi e attività di investimento non sia svolta per conto proprio o di esecuzione di ordini per conto dei clienti, in aggiunta a quanto fin qui indicato va ulteriormente ricordata la necessità di verificare il rispetto dei requisiti previsti nel D. M. del Ministero dell’Economia e della Finanza del 23 novembre 2020, n. 169, recante “il Regolamento in materia di requisiti e criteri di idoneità allo svolgimento dell’incarico degli esponenti aziendali delle banche, degli intermediari finanziari, dei confidi, degli istituti di moneta elettronica, degli istituti di pagamento e dei sistemi di garanzia dei depositanti ai sensi degli articoli, 26, 110, comma 1-bis, 112, comma 2, 114-quinquies.3, comma 1-bis, 114-undecies, comma 1-bis, 96- bis.3, comma 3, del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, sui requisiti di idoneità degli esponenti aziendali”.
L’impianto normativo del D. M. appare particolarmente articolato in quanto prevede l’elencazione di vari requisiti che devono essere soddisfatti dagli organi dirigenziali, da quelli amministrativi ed in capo ai componenti del collegio sindacale.
Per ragioni di correttezza espositiva bisogna rammentare che il D.M. circoscrive l’ambito di applicazione dei sui criteri ai soggetti che, ai sensi dell’art. 1 del medesimo provvedimento, possono essere qualificati come “esponenti”.
In via generale non sembra facile identificare chi sia l’esponente ma ci viene in soccorso la lett. h) del medesimo art. 1 del D. M. che li qualifica come quei soggetti che abbiano ricevuto “incarichi: i) presso il consiglio di amministrazione, il consiglio di sorveglianza, il consiglio di gestione; ii) presso il collegio sindacale, iii) di direttore generale, comunque denominato; per le società estere, si considerano gli incarichi equivalenti a quelli sub i), ii) e iii) in base alla legge applicabile alla società”.
Tali figure dovranno possedere i requisiti di seguito elencati.

2.1.1 Onorabilità ai sensi del D.M. 169/2020
Quanto al requisito di onorabilità, in base all’art. 3 del D. M. 169/2020 occorre precisare che “Non possono essere ricoperti incarichi da coloro che: a) si trovano in stato di interdizione legale ovvero in un’altra delle situazioni previste dall’articolo 2382 del codice civile; b) sono stati condannati con sentenza definitiva:
1) a pena detentiva per un reato previsto dalle disposizioni in materia societaria e fallimentare, bancaria, finanziaria, assicurativa, di servizi di pagamento, antiriciclaggio, di intermediari abilitati all’esercizio dei servizi di investimento e delle gestioni collettive del risparmio, di mercati e gestione accentrata di strumenti finanziari, di appello al pubblico risparmio, di emittenti nonché per uno dei delitti previsti dagli articoli 270-bis, 270-ter, 270-quater, 270-quater.1, 270-quinquies, 270-quinquies.1, 270-quinquies.2, 270-sexies, 416, 416-bis, 416-ter, 418, 640 del codice penale;
2) alla reclusione, per un tempo non inferiore a un anno, per un delitto contro la pubblica amministrazione, contro la fede pubblica, contro il patrimonio, in materia tributaria;
3) alla reclusione per un tempo non inferiore a due anni per un qualunque delitto non colposo; c) sono stati sottoposti a misure di prevenzione disposte dall’autorità giudiziaria ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159, e successive modificazioni ed integrazioni; d) all’atto dell’assunzione dell’incarico, si trovano in stato di interdizione temporanea dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese ovvero di interdizione temporanea o permanente dallo svolgimento di funzioni di amministrazione, direzione e controllo ai sensi dell’articolo 144-ter, comma 3, del testo unico bancario e dell’articolo 190-bis, commi 3 e 3-bis, del testo unico della finanza, o in una delle situazioni di cui all’articolo 187-quater del testo unico della finanza.

  1. Non possono essere ricoperti incarichi da coloro ai quali sia stata applicata con sentenza definitiva su richiesta delle parti ovvero a seguito di giudizio abbreviato una delle pene previste: a) dal comma 1, lettera b), numero 1 salvo il caso dell’estinzione del reato ai sensi dell’articolo 445, comma 2, del codice di procedura penale; b) dal comma 1, lettera b), numero 2 e numero 3, nella durata in essi specificata, salvo il caso dell’estinzione del reato ai sensi dell’articolo 445, comma 2, del codice di procedura penale.
  2. Con riferimento alle fattispecie disciplinate in tutto o in parte da ordinamenti stranieri, la verifica dell’insussistenza delle condizioni previste dai commi 1 e 2 è effettuata sulla base di una valutazione di equivalenza sostanziale.
  3. Con riferimento al comma 1, lettere b) e c) e al comma 2 sono fatti salvi gli effetti della riabilitazione e della revoca della sentenza per abolizione del reato ai sensi dell’articolo 673, comma 1, del codice di procedura penale”.
    2.1.2 Correttezza ai sensi del D.M. 169/2020
    Relativamente al criterio della correttezza è richiesto, ai sensi dell’art. 4 del D.M. 169/2020, che “gli esponenti soddisfano criteri di correttezza nelle condotte personali e professionali pregresse.
  4. Sono presi in considerazione a questi fini:
    a) condanne penali irrogate con sentenze anche non definitive, sentenze anche non definitive che applicano la pena su richiesta delle parti ovvero a seguito di giudizio abbreviato, decreti penali di condanna, ancorché non divenuti irrevocabili, e misure cautelari personali relative a un reato previsto dalle disposizioni in materia societaria e fallimentare, bancaria, finanziaria, assicurativa, di servizi di pagamento, di usura, antiriciclaggio, tributaria, di intermediari abilitati all’esercizio dei servizi di investimento e delle gestioni collettive del risparmio, di mercati e gestione accentrata di strumenti finanziari, di appello al pubblico risparmio, di emittenti nonché’ per uno dei delitti previsti dagli articoli 270-bis, 270-ter, 270-quater, 270-quater.1, 270-quinquies, 270-quinquies.1, 270-quinquies.2, 270-sexies, 416, 416-bis, 416-ter, 418, 640 del codice penale;
    b) condanne penali irrogate con sentenze anche non definitive, sentenze anche non definitive che applicano la pena su richiesta delle parti ovvero a seguito di giudizio abbreviato, decreti penali di condanna, ancorché non divenuti irrevocabili, e misure cautelari personali relative a delitti diversi da quelli di cui alla lettera a); applicazione, anche in via provvisoria, di una delle misure di prevenzione disposte dall’autorità giudiziaria ai sensi del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159;
    c) sentenze definitive di condanna al risarcimento dei danni per atti compiuti nello svolgimento di incarichi in soggetti operanti nei settori bancario, finanziario, dei mercati e dei valori mobiliari, assicurativo e dei servizi di pagamento; sentenze definitive di condanna al risarcimento dei danni per responsabilità amministrativo-contabile;
    d) sanzioni amministrative irrogate all’esponente per violazioni della normativa in materia societaria, bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa, antiriciclaggio e delle norme in materia di mercati e di strumenti di pagamento;
    e) provvedimenti di decadenza o cautelari disposti dalle autorità di vigilanza o su istanza delle stesse; provvedimenti di rimozione disposti ai sensi degli articoli 53-bis, comma 1, lettera e), 67-ter, comma 1, lettera e), 108, comma 3, lettera d-bis), 114-quinquies, comma 3, lettera d-bis), 114-quaterdecies, comma 3, lettera d-bis), del testo unico bancario, e degli articoli 7, comma 2-bis, e 12, comma 5-ter, del testo unico della finanza;
    f) svolgimento di incarichi in soggetti operanti nei settori bancario, finanziario, dei mercati e dei valori mobiliari, assicurativo e dei servizi di pagamento cui sia stata irrogata una sanzione amministrativa, ovvero una sanzione ai sensi del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231;
    g) svolgimento di incarichi in imprese che siano state sottoposte ad amministrazione straordinaria, procedure di risoluzione, fallimento o liquidazione coatta amministrativa, rimozione collettiva dei componenti degli organi di amministrazione e controllo, revoca dell’autorizzazione ai sensi dell’articolo 113-ter del testo unico bancario, cancellazione ai sensi dell’articolo 112-bis, comma 4, lettera b), del testo unico bancario o a procedure equiparate;
    h) sospensione o radiazione da albi, cancellazione (adottata a titolo di provvedimento disciplinare) da elenchi e ordini professionali irrogate dalle autorità competenti sugli ordini professionali medesimi; misure di revoca per giusta causa dagli incarichi assunti in organi di direzione, amministrazione e controllo; misure analoghe adottate da organismi incaricati dalla legge della gestione di albi ed elenchi;
    i) valutazione negativa da parte di un’autorità amministrativa in merito all’idoneità dell’esponente nell’ambito di procedimenti di autorizzazione previsti dalle disposizioni in materia societaria, bancaria, finanziaria, mobiliare, assicurativa e dalle norme in materia di mercati e di servizi di pagamento;
    l) indagini e procedimenti penali in corso relativi ai reati di cui alle lettere a) e b);
    m) le informazioni negative sull’esponente contenute nella Centrale dei Rischi istituita ai sensi dell’articolo 53 del testo unico bancario; per informazioni negative si intendono quelle, relative all’esponente anche quando non agisce in qualità di consumatore, rilevanti ai fini dell’assolvimento degli obblighi di cui all’articolo 125, comma 3, del medesimo testo unico.
  5. Con riferimento alle fattispecie disciplinate in tutto o in parte da ordinamenti stranieri, la verifica della sussistenza delle situazioni previste dal comma 2 è effettuata sulla base di una valutazione di equivalenza sostanziale”.
    Quanto appena detto, però, dovrà essere valutato valutati in relazione al disposto dell’art. 5 del D.M. qui in esame.

2.1.3 Professionalità per i soggetti che ricoprono cariche con funzioni di amministrazione e direzione ai sensi del D.M. 169/2020.
L’art. 7 del D.M 169/2020 prevede che, ai fini dell’individuazione del requisito della professionalità dei soggetti che ricoprono cariche con funzione amministrativa o direzione “Gli esponenti con incarichi esecutivi sono scelti fra persone che abbiano esercitato, per almeno tre anni, anche alternativamente: a) attività di amministrazione o di controllo o compiti direttivi nel settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo; b) attività di amministrazione o di controllo o compiti direttivi presso società quotate o aventi una dimensione e complessità maggiore o assimilabile (in termini di fatturato, natura e complessità dell’organizzazione o dell’attività svolta) a quella della banca presso la quale l’incarico deve essere ricoperto.

  1. Gli esponenti con incarichi non esecutivi sono scelti tra persone che soddisfano i requisiti di cui al comma 1 o che abbiano esercitato, per almeno tre anni, anche alternativamente:
    a) attività professionali in materia attinente al settore creditizio, finanziario, mobiliare, assicurativo o comunque funzionali all’attività della banca; l’attività professionale deve connotarsi per adeguati livelli di complessità anche con riferimento ai destinatari dei servizi prestati e deve essere svolta in via continuativa e rilevante nei settori sopra richiamati;
    b) attività d’insegnamento universitario, quali docente di prima o seconda fascia, in materie giuridiche o economiche o in altre materie comunque funzionali all’attività del settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo;
    c) funzioni direttive, dirigenziali o di vertice, comunque denominate, presso enti pubblici o pubbliche amministrazioni aventi attinenza con il settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo e a condizione che l’ente presso cui l’esponente svolgeva tali funzioni abbia una dimensione e complessità comparabile con quella della banca presso la quale l’incarico deve essere ricoperto.
  2. Il presidente del consiglio di amministrazione è un esponente non esecutivo che ha maturato un’esperienza complessiva di almeno due anni in più rispetto ai requisiti previsti nei commi 1 o 2.
  3. L’amministratore delegato e il direttore generale sono scelti tra persone in possesso di una specifica esperienza in materia creditizia, finanziaria, mobiliare o assicurativa, maturata attraverso attività di amministrazione o di controllo o compiti direttivi per un periodo non inferiore a cinque anni nel settore creditizio, finanziario, mobiliare o assicurativo, oppure in società quotate o aventi una dimensione e complessità maggiore o assimilabile (in termini di fatturato, natura e complessità dell’organizzazione o dell’attività svolta) a quella della banca presso la quale l’incarico deve essere ricoperto. Analoghi requisiti sono richiesti per gli incarichi che comportano l’esercizio di funzioni equivalenti a quella di direttore generale.
  4. Ai fini della sussistenza dei requisiti di cui ai commi precedenti, si tiene conto dell’esperienza maturata nel corso dei venti anni precedenti all’assunzione dell’incarico; esperienze maturate contestualmente in più funzioni si conteggiano per il solo periodo di tempo in cui sono state svolte, senza cumularle”.
  5. Trading di prodotti finanziari su mercati, regolamentati e non, mediante operatori finanziari autorizzati (banche, piattaforme on-line, ecc.) esclusivamente con propri danari e senza attività di raccolta fondi presso terzi
    L’art. 25 della Direttiva 2004/39/CE (MiFID, Markets in Financial Instruments Directive) prevede che gli Stati membri provvedano a mettere in atto le misure appropriate per consentire alle Autorità competenti di controllare le attività degli intermediari. Ciò al fine di assicurarsi che essi operino in modo onesto, equo e professionale in maniera da rafforzare l’integrità del mercato.
    Alla luce della predetta disposizione europea, è previsto che gli Stati membri prescrivano, in capo agli intermediari che effettuano operazioni riguardanti strumenti finanziari ammessi alla negoziazione in un mercato regolamentato, idonei strumenti di comunicazione dei dettagli di tali operazioni, in modo da inviarli all’ Autorità competente il più rapidamente possibile e, al più tardi, entro la fine del giorno lavorativo seguente.
    Le Autorità competenti dovranno poi provvedere ad istituire i meccanismi necessari affinché le medesime ricevano tali informazioni.
    Questo obbligo si applica a prescindere dal fatto che tali operazioni siano state effettuate in un mercato regolamentato o meno.
    In forza della norma ora richiamata, il disposto del MiFID, che per la sua strutturazione prevede un consistente flusso di informazioni fra intermediari e la Consob (quale autorità competente italiana), permette agli intermediari di poter effettuare le comunicazioni dovute, non soltanto direttamente, ma anche tramite un soggetto terzo che agisce per loro conto. Dunque quest’ultimo potrà lecitamente essere un soggetto diverso dagli intermediari finanziari.
    Le comunicazioni di cui trattasi, potranno pervenire alla Consob attraverso quattro differenti modalità che, facoltativamente, potranno essere scelte dall’intermediario stesso: 1) direttamente dall’ intermediario; 2) da un soggetto terzo che agisce per conto dell’ intermediario; 3) da un sistema di confronto degli ordini (trade matching system) o di notifica approvato dalla Consob; 4) dal mercato regolamentato o dal sistema multi laterale di negoziazione (MTF, Multilateral Trading Facility) presso il quale è stata conclusa l’operazione.
    Nel concreto, le misure di esecuzione necessarie per dare reale attuazione al regime di segnalazione appena delineato, sono contenute nel Regolamento CE 1287/2006 che, in quanto norma self executing, non necessita di recepimento a livello nazionale.
    Relativamente ai punti salienti della procedura per la comunicazione delle operazioni, l’art. 12 del Regolamento CE, in attuazione di quanto previsto dall’art. 25, comma 5, della Direttiva 2004/39/CE, individua le caratteristiche che devono soddisfare i canali di comunicazione delle operazioni della Consob.
    In particolare, il citato art. 12 prevede che le comunicazioni delle operazioni relative a strumenti finanziari siano effettuate in formato elettronico (tranne in circostanze eccezionali in cui possono essere effettuate su un supporto, diverso dalla forma elettronica) che consenta di memorizzare le informazioni in modo che possano essere agevolmente recuperate dalla Consob.
    Inoltre, l’art. 12 del Regolamento CE stabilisce che i metodi per l’effettuazione delle segnalazioni devono possedere specifiche caratteristiche:
    a) garanzia della sicurezza e della riservatezza dei dati comunicati;
    b) previsione di meccanismi per l’identificazione e la correzione di errori nella comunicazione dell’operazione;
    c) previsione di meccanismi di autenticazione della fonte della comunicazione dell’operazione;
    d) previsione di opportune misure precauzionali che consentano il rapido ripristino dell’attività di comunicazione in caso di guasto al sistema;
    e) comunicazione delle informazioni richieste nel formato richiesto dalla Consob e conformemente ed entro i termini fissati dall’art. 25 della Direttiva 2004/39/CE.
    Nel caso di canali di comunicazione soggetti ad approvazione da parte della Consob, quali i sistemi di confronto degli ordini o di notifica, il rispetto dei requisiti sopra menzionati, dovrà essere verificato prima dell’avvio del sistema di comunicazione.
    Tuttavia, le disposizioni ora richiamate, in forza del considerando 8 della Direttiva 2004/39/CE , può trovare o meno applicazione al caso di nostro interesse in base alla selezione del mercato in cui si intende operare.
    Infatti, qualora l’attività d’investimento e negoziazione sia eseguita per conto proprio su mercati regolamenti vi è una esplicita inapplicabilità della direttiva de quo.
    Mentre, nella differente ipotesi in cui vi sia una attività realizzata su mercati non regolamenti dovrà ritenersi doveroso il rispetto delle norme di cui alla direttiva 2004/39/CE.

3.1. Sistemi di verifica della Consob nel caso di operatività, anche in proprio, sui mercati non regolamentati
In relazione agli obblighi di cui alla Direttiva 2004/39/CE e dal Regolamento CE 1287/2006, la Consob è chiamata ad approvare soltanto i sistemi di confronto degli ordini e i sistemi di notifica. Pertanto, sono da ritenersi sottoposti a tale verifica solo nelle seguenti circostanze:
a) un mercato regolamentato o un MTF che offre il servizio di canale di comunicazione delle operazioni a uno o più intermediari, soltanto nel caso in cui le operazioni siano state concluse al di fuori dei sistemi gestiti da tale mercato o MTF;
b) un centro servizi o una società di lnformation Tecnology (indipendentemente dal fatto che fornisca già a uno o più intermediari una serie di servizi e/o infrastrutture tecnologiche) che offre il servizio di canale di comunicazione delle operazioni;
c) un soggetto terzo (diverso da un intermediario, da un mercato regolamentato o da un MTF) che offre il servizio di canale di comunicazione di cui in parola, fungendo soltanto da canale di trasmissione delle segnalazioni e dando in outsourcing la gestione tecnica del sistema.
I requisiti di cui alle lettere suindicate rappresentano condizioni relative alle specifiche tecniche del sistema predisposto dalla Consob e, pertanto, la rispondenza dei canali di comunicazione a tali requisiti, risulterà accertata attraverso un esito positivo delle fasi di test previste dalla Consob. Tuttavia, oltre a tale verifica, sarà necessario possedere opportune misure precauzionali che consentano il rapido ripristino dell’attività di comunicazione in caso di guasto al sistema (c.d. business continuity), nonché di validare le strutture previste per i sistemi di back-up, sia nel caso di sistemi interni sia nel caso di altri canali di comunicazione.

  1. Attività di consulenza a terzi in materia di trading
    In assonanza con quanto indicato all’inizio del presente elaborato in relazione alla promozione e al collocamento a distanza di servizi di investimento e strumenti finanziari, anche l’offerta di servizi informativi e di consulenza, qualora strumentali all’effettuazione di investimenti finanziari in base all’art. 1, comma 5, lett. f), del TUF, rientrano nella categoria dei “servizi e attività di investimento”.
    Orbene, così qualificati sembrerebbe riservata ai c.d. “soggetti abilitati”.
    Questi ultimi sono definiti dall’art. 1, comma 1, lett. r), del TUF nei seguenti soggetti “Le Sim, le imprese di investimento UE con succursale in Italia, le imprese di paesi terzi autorizzate in Italia, le Sgr, le società di gestione UE con succursale in Italia, le Sicav, le Sicaf, i GEFIA UE con succursale in Italia, i GEFIA non UE autorizzati in Italia, i GEFIA non UE autorizzati in uno Stato dell’UE diverso dall’Italia con succursale in Italia, nonché gli intermediari finanziari iscritti nell’albo previsto dall’articolo 106 del T.U. bancario, le banche italiane e le banche UE con succursale in Italia autorizzate all’esercizio dei servizi o delle attività di investimento”.
    In relazione a questa attività è doveroso rammentare che il suindicato art. 1, co. 5 del TUF, prevede che solo i soggetti abilitati possano svolgere le attività che rientrino nella categoria dei “servizi e attività di investimento” nei limiti in cui tali attività abbiano comunque “per oggetto strumenti finanziari”.
    Inoltre la definizione di “consulenza in materia di investimenti” è definita ai sensi dell’art. 1, comma 5-septies, del TUF quale “prestazione di raccomandazioni personalizzate a un cliente, dietro sua richiesta o per iniziativa del prestatore del servizio, riguardo a una o più operazioni relative a strumenti finanziari”.
    Tuttavia, ribaltando questa apparente limitazione, è intervenuta la Consob che, ha qualificato l’attività di “consulenza” non fra i “servizi di attività di investimento” ma fra “i servizi accessori” (si veda la dir. 93/22/CEE, il d. lgs. n. 415/1996F e il TUF).
    La conseguenza più immediata è che, allora, il servizio in questione può essere svolto liberamente da chiunque, peraltro senza l’esigenza di alcuna preventiva autorizzazione.
    Ed invero, la Consob con comunicazione n. DI/99023323 del 26 marzo 1999 ha precisato che “la prestazione del servizio di consulenza in materia di investimenti in strumenti finanziari è pertanto libera e può esplicarsi sia in forma individuale che in forma societaria; nella prestazione del servizio di consulenza i soggetti diversi dagli intermediari autorizzati non sono tenuti al rispetto della disciplina delineata dal decreto legislativo n. 58/1998 e dai regolamenti attuativi previsti dal medesimo decreto”.
    Successivamente, però, sono intervenute nuove disposizioni. In primo luogo la L. n. 262/2005 relativa alla tutela del risparmio e alla disciplina dei mercati finanziari e, successivamente, il D. lgs. n. 164 del 2007, con il quale sono state recepire nel TUF le direttive comunitarie c.d. MiFID di I e II livello e, cioè, la direttiva 2004/39/CE e la direttiva 2006/73/CE.
    In seguito la UE è tornata a normare la materia con altri due provvedimenti.
    Il primo è la direttiva 2014/65/UE c.d. “direttiva MiFID 2” che modifica le norme sull’autorizzazione e sui requisiti di organizzazione per i prestatori di servizi di investimento e sulla tutela degli investitori. Attraverso la stessa è stato introdotto il c.d. sistema di organizzazione e di negoziazione.
    Il secondo provvedimento è il regolamento n. 600/2014 (c.d. MiFIR) che è indirizzato a migliorare la concorrenza delle attività di negoziazione limitando l’uso delle deroghe sugli obblighi di comunicazione.
    Il tutto sull’intento di consentire l’accesso non discriminatorio di tutti gli strumenti finanziari alle sedi di negoziazione e alle controparti centrali e, soprattutto, imponendo che gli strumenti finanziari derivati siano negoziati nelle sedi organizzate.
    In applicazione di quanto detto, con l’approvazione della L. n. 208/2015 (c.d. legge di stabilità 2016), il legislatore italiano ha provveduto a emanare disposizioni di adeguamento ai predetti provvedimenti europei.
    Ai fini della nostra riflessione è d’interesse ricordare che è stato istituito l’Albo unico dei consulenti finanziari, e ridefinito le figure professionali del promotore finanziario e del consulente finanziario.
    La Consob ha, pertanto, con delibera n. 19548 del 17 marzo 2016, prodotto delle modifiche al Regolamento intermediari e al Regolamento consulenti.
    Per l’effetto, nel nostro ordinamento sono state introdotte le denominazioni di “consulente finanziario abilitato all’offerta fuori sede” (ex promotore finanziario) e il “consulente finanziario autonomo” (ex consulente finanziario). Inoltre è stato costituito l’albo unico dei consulenti finanziari, che ha sostituito quello dei promotori finanziari.
    Nonostante l’istituzione dell’albo unico dei consulenti finanziari, la disciplina dell’attività di consulenza si presenta composita, variegata e mutevole. Ciò poiché può variare, di volta in volta, il soggetto professionale che presta l’attività di consulenza.
    Ne consegue una certa difficoltà nel riuscire a reperire una interpretazione sistemica delle norme poste a carico dei soggetti suindicati.
    Infatti, come noto, l’esercizio professionale aperto al pubblico dei servizi e delle attività di investimento è riservato, per legge, ex art. 18 TUF, alle imprese di investimento e alle banche, che possono, altresì, svolgerlo attraverso i propri consulenti finanziari abilitati all’offerta fuori sede, operanti in qualità di dipendenti, agenti o mandatari, così come previsto dall’art. 31 TUF.
    Questo assetto normativo, però, non pregiudica la possibilità, prevista dall’art. 18-bis del TUF, che le persone fisiche possano prestare, in via autonoma, l’attività di consulenza in materia di investimenti, purché tali soggetti siano in possesso dei requisiti di professionalità, onorabilità, indipendenza e patrimoniali, secondo quanto stabilito, anche in via regolamentare, dalla Consob.
    Successivamente, con le riforme intervenute per l’adeguamento nel rispetto della disciplina del c.d. MiFID 2, sono stati introdotti obblighi più penetranti in capo agli intermediari. Inoltre è stata realizzata la distinzione fra servizi di investimento a valore aggiunto (consulenza e gestione individuale del portafoglio) e servizi “esecutivi” (collocamento, ricezione e trasmissione ordini) svolti dagli intermediari. Infine è stata inserita la distinzione fra consulenza su base indipendente e quella su base non indipendente ex art. 24 MiFID 2.
    Elemento che obbligatoriamente dovrà essere comunicato ai clienti.
    La realtà fattuale, però, è più articolata poiché la MiFID 2 non impone al consulente di scegliere alternativamente se esercitare la consulenza esclusivamente in modo indipendente o su base non indipendente ma, invece, consente al consulente di operare anche in regime misto.
    All’uopo occorre precisare che la MiFID 2 non fornisce neppure una definizione di consulenza indipendente, limitandosi solo a dare indicazioni di comportamento, relative al profilo relazionale ed alle modalità, attraverso le quali, debba svolgersi la consulenza affinché possa ritenersi realizzata su base indipendente.
    Da una lettura approfondita del complesso quadro normativo che si è cercato di tratteggiare, così come dal tenore dei provvedimenti succedutesi nel tempo, si può pacificamente ritenere che, qualora l’attività di consulenza abbia ad oggetto prodotti finanziari che non siano strumenti finanziari in senso stretto, non potrà configurarsi alcuna riserva a favore dei “soggetti abilitati” quali le SIM e le banche.
    In altre parole, sarà possibile realizzare consulenze per operazioni da realizzarsi, per esempio, in criptovalute .
    Relativamente alle consulenze rese per i “servizi e attività di investimento”, che rientrano più dettagliatamente nell’ambito di nostro interesse, è utile rammentare che, qualora la stessa non abbia ad oggetto “raccomandazioni personalizzate” ma elementi informativi di carattere generale la questione si semplifica.
    Deve sottolinearsi che, per consulenza relativa a questioni non riferite alla posizione del singolo investitore, può intendersi la consulenza resa, anche in maniera approfondita ed accurata, purché non calibrata ad hoc sulle posizioni personali. Pertanto, quest’ultima attività sarà liberamente realizzabile anche se eseguita da soggetti diversi da quelli indicati in base alle disposizioni dell’art. 1, comma 5, lett. f), del TUF.
    Bisogna altresì ricordare che in base all’art. 78 del Regolamento intermediari, adottato con delibera n. 20307 del 15 febbraio 2018, e aggiornato con le modifiche apportate dalla delibera n. 21755 del 10 marzo 2021, sono stati individuati i requisiti di conoscenza e competenza che i membri del personale degli intermediari devono possedere per fornire informazioni ai clienti nell’espletamento dell’attività di consulenza personalizzata.
    Nello specifico è previsto che i membri del personale degli intermediari che forniscono ai clienti informazioni riguardanti strumenti finanziari, servizi di investimento o servizi accessori, debbano possedere idonee conoscenze da trasmettere, qualora richieste dal cliente stesso, sotto forma di informazioni riguardanti strumenti finanziari, servizi di investimento o servizi accessori.
    Ciò è obbligatorio poiché, così definito al punto 4, lett. e) degli Orientamenti AESFEM/2015/1886 (anche detti ESMA/2015/1886), realizzati dall’Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati.
    In particolare, sulla scorta degli orientamenti ESMA ora citati , si rileva un espresso richiamo di tali obblighi in capo ai seguenti ambiti di applicazione.
    Servizi e attività di investimento:
    1) Ricezione e trasmissione di ordini riguardanti uno o più strumenti finanziari;
    2) Esecuzione di ordini per conto dei clienti;
    3) Negoziazione per conto proprio;
    4) Gestione di portafogli;
    5) Consulenza in materia di investimenti;
    6) Assunzione a fermo di strumenti finanziari e/o collocamento di strumenti finanziari sulla base di un impegno irrevocabile;
    7) Collocamento di strumenti finanziari senza impegno irrevocabile;
    8) Gestione di sistemi multilaterali di negoziazione;
    9) Gestione di sistemi organizzati di negoziazione.
    Servizi accessori:
    1) Custodia e amministrazione di strumenti finanziari per conto dei clienti, inclusi la custodia e i servizi connessi come la gestione di contante/garanzie reali ed esclusa la funzione di gestione dei conti titoli al livello più elevato;
    2) Concessione di crediti o prestiti agli investitori per consentire loro di effettuare una transazione relativa a uno o più strumenti finanziari, nella quale interviene l’impresa che concede il credito o il prestito;
    3) Consulenza alle imprese in materia di struttura del capitale, di strategia industriale e di questioni connesse nonché consulenza e servizi concernenti le concentrazioni e l’acquisto di imprese;
    4) Servizio di cambio quando tale servizio è collegato alla prestazione di servizi di investimento;
    5) Ricerca in materia di investimenti e analisi finanziaria o altre forme di raccomandazione generale riguardanti le operazioni relative a strumenti finanziari;
    6) Servizi connessi con l’assunzione a fermo;
    7) Servizi e attività di investimento, nonché servizi accessori del tipo di cui alle sezioni A o B dell’allegato 1, collegati agli strumenti derivati di cui alla sezione C, punti 5), 6), 7) e 10) , se legati alla prestazione di servizi di investimento o accessori.
    In queste fattispecie è previsto che I membri del personale degli intermediari, ivi inclusi gli agenti collegati di cui all’articolo 1, comma 5-septies.2, del Testo Unico, possiedono, almeno uno tra i seguenti requisiti di conoscenza e di esperienza:
    “a) iscrizione, anche di diritto, all’albo di cui all’articolo 31 del Testo Unico o superamento dell’esame previsto ai fini di tale iscrizione e, in entrambi i casi, almeno 6 mesi di esperienza professionale nel caso in cui forniscono informazioni, oppure almeno 9 mesi di esperienza professionale nel caso in cui prestano la consulenza;
    b) diploma di laurea, almeno triennale, in discipline economiche, giuridiche, bancarie, assicurative, finanziarie, tecniche o scientifiche rilasciato da una Università riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, o titolo di studio estero equipollente, e almeno 6 mesi di esperienza professionale nel caso in cui forniscono informazioni, oppure almeno 9 mesi di esperienza professionale nel caso in cui prestano la consulenza;
    c) diploma di laurea, almeno triennale, in discipline diverse da quelle indicate alla lettera b), rilasciato da una Università riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, o titolo di studio estero equipollente, integrato da un master post lauream in discipline economiche, giuridiche, bancarie, assicurative o finanziarie, o da una certificazione di conoscenze acquisite in ambito economico-finanziario, riconosciuta in una giurisdizione dell’Unione europea, e almeno 6 mesi di esperienza professionale nel caso in cui forniscono informazioni, oppure almeno 9 mesi di esperienza professionale nel caso in cui prestano la consulenza;
    d) diploma di laurea, almeno triennale, in discipline diverse da quelle indicate alla lettera b), rilasciato da una Università riconosciuta dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca, o titolo di studio estero equipollente, e almeno 9 mesi di esperienza professionale nel caso in cui forniscono informazioni, oppure almeno 15 mesi di esperienza professionale nel caso in cui prestano la consulenza;
    e) diploma di istruzione secondaria superiore e almeno 1 anno di esperienza professionale nel caso in cui forniscono informazioni, oppure almeno 2 anni di esperienza professionale nel caso in cui prestano la consulenza. L’esperienza professionale di cui al presente comma è maturata nel decennio precedente l’inizio dell’attività ed è effettuata sulla base dell’equivalente a tempo pieno. Almeno la metà di tale esperienza deve essere maturata nel triennio precedente l’inizio dell’attività. Ai fini del computo del requisito dell’esperienza professionale si sommano i periodi di esperienza professionale documentati, anche maturati presso più soggetti”
    Inoltre è necessario che i membri del personale oltre a quanto già detto debbano possedere “un’esperienza professionale maturata in aree professionali attinenti alle materie individuate dal punto 17 degli Orientamenti AESFEM/2015/1886 per coloro che forniscono informazioni e in aree professionali attinenti alle materie individuate dal punto 18 degli Orientamenti AESFEM/2015/1886 per coloro che prestano la consulenza”.
  2. Attività di docenza a terzi rispetto alle attività sopra riportate
    Relativamente all’attività formativa inerente al settore di cui al presente parere, occorre fare alcuni distinguo in relazione al soggetto che si propone di realizzarla.
    Andando con ordine, qualora la formazione sia eseguita, da parte una persona fisica o impresa, mediate l’erogazione di lezioni basate su contenuti di conoscenza del settore trading on line od altra tipologia di nozione inerente al settore finanziario, l’unica limitazione è ascrivibile all’impossibilità di rilasciare titoli qualificanti.
    Nel dettaglio, pur restando libera (e remunerabile) l’attività di formazione erogata nelle modalità suindicate, è comunque precluso il rilascio di attestazioni o di diplomi aventi valore legale. Essi, infatti, possono essere prodotto solo da soggetti autorizzati dalla legge, come vedremo più avanti.
    Diverso e più articolato è il discorso nel caso in cui la formazione professionale sia erogata da altri soggetti quali associazioni a carattere professionale.
    In questa seconda casistica è previsto il rispetto dei requisiti che prevede la Legge 14 gennaio 2013 n. 4.
    Infatti, qualora l’attività svolta non sia disciplinata mediante l’obbligo di iscrizione a ordini o collegi, si deve tener conto del 2° co. dell’art. 1 della L. 4/2013 il quale definisce “professione non organizzata in ordini o collegi” la figura che svolga “l’attività economica, anche organizzata, volta alla prestazione di servizi o di opere a favore di terzi, esercitata abitualmente e prevalentemente mediante lavoro intellettuale, o comunque con il concorso di questo, con esclusione delle attività riservate per legge a soggetti iscritti in albi o elenchi ai sensi dell’art. 2229 del codice civile, delle professioni sanitarie e delle attività e dei mestieri artigianali, commerciali e di pubblico esercizio disciplinati da specifiche normative”.
    La prima conseguenza diretta è che l’ente di formazione che rientra in questa figura è tenuto, ex 3° co. dell’art. 1 della L. 4/2013, a scrivere su ogni documento e rapporto scritto con il cliente, il riferimento espresso alla norma in parola.
    La violazione comporta le sanzioni previste per le c.d. pratiche commerciali scorrette fra professionisti e consumatori, di cui al titolo III della parte II del codice del consumo, in ottemperanza del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206.
    Pertanto, l’associazione professionale che, in relazione a quanto precede, desideri garantirsi la possibilità realizzare corsi di formazione riconosciuti o di formazione continua, deve rispettare un insieme di prescrizioni indicate negli artt. 4 e 5 della L. 4/2013.
    Quanto al disposto del 1° co. dell’art. 4 è previsto che l’associazione professionale deve “pubblicare nel proprio sito web gli elementi informativi che presentano utilità per il consumatore, secondo criteri di trasparenza, correttezza, veridicità”.
    Inoltre, ai sensi del 3° co. dell’articolo medesimo “Le singole associazioni professionali possono promuovere la costituzione di comitati di indirizzo e sorveglianza sui criteri di valutazione e rilascio dei sistemi di qualificazione e competenza professionali. Ai suddetti comitati partecipano, previo accordo tra le parti, le associazioni dei lavoratori, degli imprenditori e dei consumatori maggiormente rappresentative sul piano nazionale. Tutti gli oneri per la costituzione e il funzionamento dei comitati sono posti a carico delle associazioni rappresentate nei comitati stessi.”
    Ulteriormente, l’art. 5 prevede che le associazioni debbano garantire un insieme di elementi ulteriori quali: a) l’atto costitutivo e statuto; b) la precisa identificazione delle attività professionali cui l’associazione si riferisce; c) la composizione degli organismi deliberativi e titolari delle cariche sociali; d) la struttura organizzativa dell’associazione; e) i requisiti per la partecipazione all’associazione ; f) assenza di scopo di lucro.
    Diversa è la casistica in cui, in aggiunta alle attività appena dette, l’ente di formazione voglia autorizzare i propri associati ad utilizzare il riferimento all’iscrizione all’associazione, quale marchio o attestato di qualità e di qualificazione professionale dei propri servizi.
    In questa nuova ipotesi saranno da rispettarsi ulteriori parametri nel rispetto del co. 2 dell’art. 5 e degli artt. 7 e 8 della medesima L. 4/2013.
    In relazione al 2° co. dell’art. 5 va rilevato che esso prevede l’obbligo di garantire la conoscibilità di:
    a) il codice di condotta con la previsione di sanzioni graduate in relazione alle violazioni poste in essere e l’organo preposto all’adozione dei provvedimenti disciplinari dotato della necessaria autonomia;
    b) l’elenco degli iscritti, aggiornato annualmente;
    c) le sedi dell’associazione sul territorio nazionale, in almeno tre regioni;
    d) la presenza di una struttura tecnico-scientifica dedicata alla formazione permanente degli associati, in forma diretta o indiretta;
    e) l’eventuale possesso di un sistema certificato di qualità dell’associazione conforme alla norma UNI EN ISO 9001 per il settore di competenza;
    f) le garanzie attivate a tutela degli utenti, tra cui la presenza, i recapiti e le modalità di accesso ad uno sportello di riferimento per il cittadino consumatore, presso il quale i richiedenti delle prestazioni professionali possono rivolgersi in caso di contenzioso con i singoli professionisti, ai sensi dell’art. 27-ter del codice del consumo, di cui al decreto legislativo 6 settembre 2005 n. 206.
    In ossequio all’art. 7, invece, è previsto che le associazioni professioni, purché in regola con quanto precede, possono rilasciare ai propri iscritti, previe le necessarie verifiche, sotto la responsabilità del proprio rappresentante legale, un’attestazione relativa: a) alla regolare iscrizione del professionista all’associazione; b) ai requisiti necessari alla partecipazione all’associazione stessa; c) agli standard qualitativi e di qualificazione professionale che gli iscritti sono tenuti a rispettare nell’esercizio dell’attività professionale ai fini del mantenimento dell’iscrizione all’associazione; d) alle garanzie fornite dall’associazione all’utente, tra cui l’attivazione dello sportello di cui all’art. 2, comma 4; e) all’eventuale possesso della polizza assicurativa per la responsabilità professionale stipulata dal professionista; f) all’eventuale possesso da parte del professionista iscritto di una certificazione, rilasciata da un organismo accreditato, relativa alla conformità alla norma tecnica UNI.
    In ogni caso tali certificazioni con costituiscono elemento necessario per l’esercizio dell’attività in modo professionale così come previsto dal 2° co. dell’art. 7 della L. 4/2013.
    In merito all’art. 8 va chiarito che lo stesso disciplina le modalità di utilizzo delle attestazioni, ovvero dispone che le medesime avranno validità solo per il periodo nel quale il soggetto, che intende avvalersene, resterà iscritto all’associazione professionale.
    Inoltre, l’utilizzo di tale attestazione da parte dell’iscritto deve essere associato all’indicazione del numero di iscrizione all’associazione medesima.
    Da ultimo, a conclusione di quanto indicato per le associazioni professionali c’è da rammentare l’obbligo di osservare anche le prescrizioni di cui all’art. 81 del decreto legislativo 26 marzo 2010, n. 59 il quale prevede che “I soggetti, pubblici o privati, che istituiscono marchi ed altri attestati di qualità relativi ai servizi o sono responsabili della loro attribuzione, rendono disponibili ai prestatori ed ai destinatari, tramite pubblicazione sul proprio sito internet, di informazioni sul significato dei marchi e sui criteri di attribuzione dei marchi e degli altri attestati di qualità, dandone contemporaneamente notizia al Ministero dello sviluppo economico ed evidenziando se si tratta di certificazioni rilasciate sulla base del sistema di accreditamento di cui al Regolamento (CE) n. 765/2008, del Parlamento europeo e del Consiglio, del 9 luglio 2008”.
  3. Attività peritale in ordine a fattispecie di consulenza giudiziale e stragiudiziale nelle materie sopra menzionate
    Lo svolgimento dell’attività peritale in qualità di CTU per il Tribunale, poiché la professione di trader non è regolamentata dall’obbligo di iscrizione in ordini o albi, è devoluta ad altri parametri. Nello specifico, alla domanda presentata presso il Tribunale occorrerà allegare altri titoli che attestino la propria professionalità e la propria esperienza i quali, verranno valutati di volta in volta.
    Occorre, altresì, ricordare che per le categorie non previste dagli ordini professionali è, ulteriormente, necessaria la previa iscrizione nell’albo dei Periti e degli Esperti, tenuto dalla Camera di Commercio.
    Per ottenere l’iscrizione a tali albi i soggetti richiedenti devono dimostrare di essere in possesso di requisiti morali, ovvero l’assenza di condanne per determinati reati e di misure contro la delinquenza mafiosa, nonché la probità e il rispetto dei requisiti di capacità professionale.
    Questi requisiti devono essere accompagnati da idonee documentazioni, così da accertare che i titoli e le attestazioni comprovanti l’idoneità all’esercizio dell’attività di perito ed esperto, siano adeguate all’inserimento nelle categorie e sub-categorie per le quali viene richiesta l’iscrizione.
    Possono iscriversi al Ruolo le persone fisiche che abbiano compiuto i 21 anni di età. Quanto ai singoli requisiti specifici si rimanda alle disposizioni delle specifiche Camere di Commercio.
    Diverso discorso deve farsi per quanto attiene all’incarico di CTP. Tale differenza è particolarmente marcata in un settore, come quello del trading, dove non figura l’esigenza d’iscrizione ad ordini professionali.
    Ai fini dell’espletamento dell’incarico di CTP non esistono particolari preclusioni giacché, tale ruolo, è conferito direttamente dal soggetto che desidera l’assistenza giudiziaria o stragiudiziale del perito.
    In altre parole l’incarico, più che su effettivi requisiti formali, che devono essere obbligatoriamente posseduti dal perito, si basa sull’intuitus personae. Pertanto sarà rilevante il giudizio personale, la stima e la credibilità che il soggetto che conferisce l’incarico ripone nel professionista.
    Risulta indubbio, però, che il perito deve avere una sua competenza nel settore e, pertanto, deve abitualmente esercitare una attività professionale che sia congrua con l’espletamento dell’incarico peritale conferito. In tale ottica sarà rilevante il possesso di elementi idonei a “qualificare” la sua specializzazione.
    Dunque, risultano prioritari eventuali elementi dimostrativi dello status di professionista quali: a) l’iscrizione ad associazioni professionali di riferimento; b) l’osservanza del Codice deontologico e dello Statuto della medesima; c) iscrizione all’associazione in corso di validità; d) la continuità nella formazione permanente nel settore di pertinenza; e) la regolarità dell’aggiornamento tecnico; f) la Certificazione delle competenze professionali della persona.
    Tutti elementi che possono comprovare la validità delle opinioni rese e permettono la verificabilità delle competenze professionali.
    Difatti, risulta evidente che specie in settori in cui il perito non ha una necessità di appartenere ad un ordine professionale, la “fama” oggettivamente riconosciuta dalla collettività (es. pregresse esperienze da CTP o CTU, pubblicazioni, riconoscimenti, attestati, diplomi, incarichi ecc.) permette di accrescere, sia le possibilità di ricevere l’incarico che la credibilità nel giudizio espresso nella perizia realizzata.
  4. Regime fiscale: introduzione
    Una specificità del sistema nazionale rispetto a quello internazionale consiste nella distinzione fra “redditi di capitale” (art. 44 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, TUIR – D.P.R. 917 del 1986) e “redditi diversi” (art. 67 TUIR), la cui principale conseguenza è di non consentire all’investitore la compensazione tra guadagni e perdite conseguiti nelle citate diverse tipologie di redditi.
    Appartengono al primo gruppo, in linea generale, gli interessi, gli utili e i proventi che sono prodotti da un impiego stabile di capitale, i quali sono tassati nella misura lorda.
    Sono redditi diversi di natura finanziaria, quei redditi che producono plusvalenze o minusvalenze in relazione ad eventi incerti. La categoria dei redditi diversi include inoltre, in via residuale, tutti gli altri redditi che derivano da altre forme di impiego del capitale, tassati al netto di minusvalenze, perdite e costi.
    Le due suddette categorie reddituali sono autonome e distinte e non possono formare oggetto di compensazione tra di loro. In particolare, tale distinzione ha comportato effetti distorsivi, dovuti essenzialmente al divieto di compensare i redditi di capitale con le minusvalenze o le perdite conseguite, così come comportamenti elusivi, finalizzati essenzialmente a riclassificare i redditi nell’una o nell’altra categoria a seconda della convenienza fiscale.
    Del tutto peculiare è poi la situazione dei proventi derivanti dalla partecipazione a fondi comuni di investimento, che, se positivi, sono qualificati come redditi di capitale e, se negativi, costituiscono delle minusvalenze.

7.1 I regimi fiscale del trading per le persone fisiche, le società semplici e soggetti equiparati, gli enti non commerciali
Il decreto legislativo n. 461 del 1997 ha complessivamente riorganizzato la tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria anche per i soggetti che non svolgono attività d’impresa, le persone fisiche, le società semplici e soggetti equiparati, gli enti non commerciali.
Occorre, quindi, distinguere tre regimi: della dichiarazione, quello del risparmio amministrato e quello del risparmio gestito.
La differenza fra i tre regimi si sostanzia negli adempimenti posti a carico dell’investitore o del gestore, nel momento in cui viene applicata la tassazione (maturato o realizzato) nonché nel trattamento fiscale di profitti e perdite (con particolare riferimento alla loro compensabilità).
Il regime dichiarativo prevede che tutti gli adempimenti di natura fiscale sui redditi finanziari sono compiuti dal risparmiatore per proprio conto. Tale regime si caratterizza per la tassazione al realizzo dei redditi di capitale, con l’assoggettamento alla ritenuta alla fonte da parte dell’intermediario, oppure in dichiarazione dei redditi. In questa dichiarazione vengono, in ogni caso, tassati i redditi diversi di natura finanziaria, con imposta sostitutiva al 26% (dal 1° luglio 2014).
Il regime della dichiarazione costituisce il regime ordinario di tassazione dei redditi diversi di natura finanziaria ed è caratterizzato dall’applicazione di un’imposta sostitutiva dovuta dal contribuente direttamente nella dichiarazione relativa al periodo d’imposta di realizzo, su una base imponibile determinata compensando le componenti reddituali positive e negative. Le eventuali eccedenze di minusvalenze e perdite possono essere utilizzate in compensazione nei quattro periodi d’imposta successivi.
Nel regime dichiarativo si perde il cd. favor dell’anonimato, perché il contribuente ha l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi annuale.
Ulteriormente va detto che la tassazione avviene per cassa alla realizzazione del provento. Inoltre la compensazione tra guadagni e perdite può avere luogo solo tra redditi della stessa natura (non è possibile compensare la plusvalenza realizzata da partecipazioni qualificate con la minusvalenza realizzata da partecipazioni non qualificate). Questo regime ere l’unico applicabile alle partecipazioni qualificate, prima che la legge di bilancio 2018 consentisse che anche questo tipo di investimenti fossero inclusi nei regimi del risparmio “amministrato” e “gestito”.
Il regime del risparmio amministrato, di cui all’articolo 6 del decreto legislativo n. 461 del 1997, riguarda il caso in cui l’investitore affidi i propri risparmi in deposito a un intermediario, generalmente attraverso un contratto di amministrazione e custodia, senza delegarne la gestione.
L’investitore delega l’intermediario per gli adempimenti fiscali: è l’intermediario a calcolare, per ogni operazione, l’imposta dovuta e a versarla al fisco in base all’aliquota corrente, garantendo l’anonimato dell’investitore. Il regime del risparmio amministrato costituisce un regime opzionale di tassazione per i redditi diversi di natura finanziaria. Tale regime comporta la tassazione al realizzo dei redditi mediante applicazione di una imposta sostitutiva da parte degli intermediari con cui il contribuente detiene uno stabile rapporto (es. custodia e amministrazione titoli, deposito titoli, gestione individuale di portafogli o rubrica fondi).
Le imposte sono calcolate solo sulle plusvalenze (capital gain) effettivamente realizzate a seguito di un’attività di compravendita ed è possibile effettuare la compensazione tra minusvalenze (capital loss). La compensazione può avere luogo solo tra redditi della stessa natura.
Eventuali perdite o minusvalenze possono essere compensate con successive plusvalenze realizzate nel medesimo periodo d’imposta o in quelli successivi, ma non oltre il quarto. Anche tale regime prevede la tassazione secondo il principio di cassa, con l’applicazione dell’imposta sostitutiva con aliquota del 26% a cura degli intermediari. La tassazione avviene a conclusione di ogni singola operazione e non al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi.
Il risparmio gestito, invece, è contemplato dall’art. 7 del decreto legislativo n. 461 del 1997 e riguarda il caso in cui il risparmio sia gestito su base individuale (es. gestioni individuali di portafoglio) da un intermediario finanziario specializzato quali una Banca, Società d’intermediazione mobiliare, fondo comune d’investimento aperto o chiuso e SICAV.
L’imposta viene pagata dall’intermediario che gestisce i risparmi dell’investitore ed è calcolata sul risultato netto della gestione maturato, confrontando cioè la valorizzazione del portafoglio investimenti alla fine dell’esercizio con quella all’inizio.
Pertanto l’investitore è esente da obblighi nei confronti del fisco, in quanto ad essi adempie il gestore del suo risparmio e gode del vantaggio dell’anonimato. Di conseguenza, rispetto agli altri regimi in questo caso la tassazione avviene per competenza, cioè al momento della maturazione del provento, e non al momento della sua effettiva percezione.
Il risultato maturato dalla gestione, se positivo, deve essere assoggettato all’imposta sostitutiva del 26%. Nel regime del risparmio gestito è possibile compensare i redditi da capitale con le eventuali plusvalenze e minusvalenze realizzate, per poter ridurre la probabilità di detenere posizioni multiple creditorie o debitorie.
Il regime del risparmio gestito costituisce un regime opzionale di tassazione non solo dei redditi diversi ma anche dei redditi di capitale, la cui applicazione è demandata agli intermediari che prestano il servizio di gestione individuale di portafogli.
Tale regime, che si basa sulla tassazione del risultato maturato di gestione dell’anno, determinato come differenza tra il valore del patrimonio gestito al termine di ciascun anno solare e il valore dello stesso a inizio del medesimo anno, è l’unico che consente di compensare le perdite e le minusvalenze con i redditi di capitale.
In origine la tassazione per maturazione era prevista anche per i fondi comuni di investimento, il cui risultato maturato di gestione era soggetto a imposta sostitutiva su base annuale.
Inoltre, per i redditi tassati secondo un criterio di cassa in base ai regimi della dichiarazione e del risparmio amministrato e per i fondi comuni di investimento esteri era stato inizialmente previsto un meccanismo correttivo c.d. “equalizzatore” che, nello specifico, ha lo scopo di ottenere un risultato analogo a quello derivante dall’applicazione anche ai suddetti redditi del principio della tassazione per maturazione.
Successivamente, con il decreto legge n. 225 del 2010 è stato riformato il regime di tassazione dei fondi comuni di investimento italiani, con il passaggio da un sistema di tassazione per maturazione in capo al fondo a un sistema di tassazione per cassa in capo agli investitori, eliminando la disparità di trattamento rispetto agli omologhi prodotti di diritto estero.
Gli interventi normativi, introdotti nel 2001 e nel 2010, hanno modificato radicalmente la logica sottostante al decreto legislativo n. 461 del 1997, individuando, dunque, nel realizzo dei proventi il momento impositivo rilevante per la tassazione dei redditi di natura finanziaria.
Continuano a esistere, tuttavia, forme di tassazione per maturazione per le gestioni individuali di portafogli e per il risparmio previdenziale, nonché per i rendimenti realizzati dalla gestione patrimoniale delle casse previdenziali private.
Per meglio riassumere le distinzioni indicate in precedenza si ritiene utile l’ausilio della seguente tabella e dei successivi schemi:

Regime Dichiarativo
È il regime di default che viene applicato ai traders che aprono un conto con sede all’estero. Qualora sia richiesto dall’interessato questo regime può essere applicato anche ai conti italiani.
Il contribuente assoggettato a questo sistema fiscale sarà tenuto a calcolarsi autonomamente le imposte da versare in quanto percepirà dal broker o da altro intermediario i proventi lordi derivanti dalle vendite dei titoli, pertanto, essi saranno senza alcuna ritenuta d’imposta alla fonte. Se ne deduce che la banca o l’intermediario non opera quale sostituto d’imposta come accade negli altri regimi.
Per tal ragione, il contribuente ogni anno dovrà compilare la dichiarazione dei redditi inserendovi i redditi percepiti dall’attività di trading e pagare le relative imposte.
Le imposte si pagano entro il 30 giugno dell’anno successivo, tramite la compilazione del Modello Redditi Persone Fisiche e la predisposizione del Modello F24. Il contribuente riceverà i profitti lordi e potrà interamente reinvestirli. Si avrà pertanto più marginalità sul conto e più leva finanziaria.
Nell’ipotesi della presenza di più conti in capo alla medesima persona, si sommano i risultati di tutte le posizioni intrattenute dal contribuente e il tutto confluisce in un’unica dichiarazione dei redditi. I risultati si compensano fra loro, pertanto il dichiarativo è molto conveniente se si detengono più posizioni.
Regime Amministrato
È il regime di base che viene applicato ai conti con sede in Italia, dove la banca, il broker ovvero la SIM operano da sostituti d’imposta e, pertanto, effettuano i calcoli e trattengono automaticamente le aliquote fiscali dovute. In questo modo il contribuente riceverà direttamente i proventi netti decurtati delle imposte già preventivante applicate. Il contribuente mantiene, comunque, la possibilità di usare l’opzione per passare in regime dichiarativo. Tale passaggio avrà validità a decorrere dal 1° gennaio dell’anno successivo alla richiesta.
In regime amministrativo le imposte saranno pagate ad ogni chiusura di trade e il pagamento è effettuato in modo immediato. Qualora si realizzi un profitto, questo viene automaticamente tassato. Se invece si realizza una perdita potrà poi essere compensata con le plusvalenze dei 4 anni successivi.
Nell’ipotesi in cui vi siano più conti in capo alla stessa persona e tutti con regime amministrato, ciascun conto ha un suo risultato e una sua tassazione autonoma e indipendente. Se ne deduce che non si possono compensare i risultati di un conto con un altro anche se intestati alla stessa persona.

7.2 I regimi fiscale del trading per le persone giuridiche
Nettamente differente è l’impostazione fiscale relativa alle persone giuridiche che, in quanto società, non sono assoggettate all’IRPEF ma come ovvio all’IRES.
Per quanto attiene ai redditi da capitale realizzati da società, si provvede mediante la ritenuta a titolo di acconto che deve essere riportata poi in dichiarazione dei redditi, senza l’applicazione di imposta sostitutiva.
Per questi redditi si applica, infatti, il principio dell’attrazione al reddito di impresa (sia che siano di capitale o diversi), e saranno dunque parte dell’imposta a carattere proporzionale detta IRES.
Tali redditi sono tassati al realizzo e con il cambio del giorno se denominati in valuta estera, con eventuali oneri che non hanno alcuna rilevanza.
I redditi diversi di natura finanziaria, invece sono plusvalenze/minusvalenze derivanti dalla negoziazione/cessione o rimborso degli investimenti finanziari.
Si tratta di importi casuali ed incerti, e quindi, a differenza dei redditi di capitale, possono essere anche di importo inferiore a zero.
I redditi diversi di natura finanziaria possono essere, eventualmente, compensabili con i redditi diversi conseguiti nello stesso periodo d’imposta o successivi, ma non oltre il quarto esercizio. Qualora essi fossero negativi non sono compensabili con i redditi da capitale. Inoltre i redditi diversi di natura finanziaria non sono compensabili con redditi di capitale.
Pertanto sono determinati come differenza fra il corrispettivo percepito ed il valore di acquisto originario, con esclusione degli interessi passivi.
La modalità di tassazione si determina partendo scomputate le ritenute di acconto subite dall’IRES dovuta poiché versata come sostituti di imposta. Sono esclusi dall’ammontare imponibile i redditi soggetti a tassazione separata esenti.
Per i redditi da capitale ed i redditi diversi di natura finanziaria il ruolo del sostituto d’imposta con l’obbligo di applicare il prelievo alla fonte è affidato di norma agli intermediari finanziari. Dunque, qualora in una operazione intervengono più intermediari, l’applicazione delle ritenute spetta all’intermediario che intrattiene il rapporto diretto con il cliente.
Quanto all’imposta sostitutiva questa si applica ai titoli obbligazionari emessi da Banche e S.p.a. quotate, titoli pubblici e titoli cartolarizzati. Ai nostri fini è rilevante ricordare che non si applica alle S.p.A. non quotate, alle S.r.l. nonché agli OICR ed ai fondi pensione.
Gli intermediari autorizzati devono costituire un c.d. “conto unico” con cui si contabilizzano gli accrediti e gli addebiti .
A tal riguardo non può non rammentarsi che ai fini dell’applicazione dell’imposta sostitutiva è rilevante la qualifica di intermediario autorizzato. Dell’argomento se ne occupa il 2° co. dell’art. 2 del L. Lgs. 239/1996 che stabilisce che tale incombente è gravante solo per banche, SIM, società fiduciarie e agenti di cambio o altri soggetti indicati in appositi decreti del Ministro delle finanze di concerto con il Ministro del tesoro qualora, gli stessi.
Come anticipato, a differenza delle persone fisiche, le società commerciali non hanno alcuna possibilità di scelta in merito al regime fiscale applicabile, in quanto per questi soggetti la tassazione avviene secondo le regole proprie del reddito di impresa. Quanto ai redditi finanziari (da capitale e diversi) percepiti dai fondi pensione aperti o chiusi questi vengono tassati attraverso un’imposta sostitutiva nella misura del 20%, applicata sul risultato netto della gestione maturato.
Il risultato netto è pari alla differenza tra il valore del patrimonio netto del fondo alla fine di ciascun anno solare al lordo dell’imposta sostitutiva, aumentato delle uscite per il pagamento dei riscatti e diminuito dei contributi versati. I fondi pensione però non sono, come avveniva in passato, considerati nettisti e, pertanto, non si più soggetti alla relativa imposta sostitutiva.
A questi non si applica più nemmeno il prelievo alla fonte (c.d. ritenuta di imposta o imposta sostitutiva) sui dividendi percepiti.
Bisogna, inoltre, ricordare che per le società che svolgono attività di trading, strumenti finanziari derivati, i componenti di reddito derivanti sia dalla valutazione a fine esercizio sia dal realizzo degli strumenti stessi devono essere ricondotti tra le voci rilevanti ai fini IRAP, in quanto rappresentativi dell’attività caratteristica della società (Agenzia delle Entrate – Risposta ad interpello n. 121 del 2020).
Con riguardo alla tassazione delle attività finanziare estere va chiarito che, anche in questo caso, si tratta di redditi di capitale e di redditi diversi di fonte estera. Tuttavia la distinzione effettiva riguarda solo le persone fisiche mentre nel caso di società è irrilevante.
Infatti, gli interessi e proventi vari (redditi di capitale), ivi incluse le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di partecipazioni in società non residenti, sono sempre da considerarsi quali redditi di impresa.
La tassazione di tali proventi è il risultato del regime fiscale previsto dal Paese erogante, dalla tassazione italiana, di normative comunitarie e di Convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni stipulate dai vari Paesi.
Vi è, inoltre, la possibilità di usufruire del credito di imposta per i redditi prodotti all’estero.
Nel caso in cui l’imposizione effettuata dall’intermediario sia a titolo definitivo, i redditi non devono essere indicati in dichiarazione, mentre se l’imposizione è effettuata a titolo di acconto, questi devono essere indicati al lordo delle imposte, con le ritenute di acconto che vengono poi scomputate dall’ IRES dovuta.
Qualora poi i redditi provengano da stato estero occorre verificare come evitare situazioni di doppia imposizione economica (assoggettamento di diversi contribuenti ad imposte similari in due o più stati in virtù di una medesima manifestazione di ricchezza, come utili o dividendi.
In risposta a tale quesito occorre fare riferimento alle Convenzioni internazionali.
Si tratta di accordi internazionali che individuano quale degli stati stipulanti ha la potestà impositiva nei confronti di un soggetto che è residente in uno Stato diverso da quello in cui percepisce redditi
Le convenzioni stipulate dall’Italia sono definite secondo un modello standard predisposto dall’OCSE. Le convenzioni operano generalmente una riduzione e non un’esclusione totale del potere di un Paese di tassare un certo reddito, ripartendo la potestà tributaria.
Per quanto riguarda i redditi di capitale, le convenzioni stabiliscono che dividendi ed interessi siano tassati sia nel Paese della Fonte sia in quello del beneficiario, con il primo che ha un limite nell’aliquota applicabile (fissata dalla convenzione) e con il secondo che garantisce l’eliminazione della doppia imposizione con i metodi dell’esenzione o del credito di imposta.
Ai fini dell’eliminazione della doppia imposizione il modello OCSE fornisce due strade alternative: 1) Metodo dell’esenzione in cui lo Stato di residenza si astiene da tassare i redditi prodotti all’estero; 2) Metodo del credito di imposta col quale lo Stato di residenza assoggetta tassazione i redditi prodotti all’estero, concedendo però un credito al contribuente.
Quest’ultimo metodo (foreign tax credit) concede una detrazione dell’IRES pari alle imposte pagate all’estero in via definitiva.
La detrazione spetterà in ogni caso nella dichiarazione relativa al periodo di imposta in cui appartiene il reddito estero, a condizione che il pagamento dell’imposta avvenga in via definitiva. Se il pagamento avviene in seguito, si procede a nuova liquidazione e la detrazione opererà dall’imposta dovuta nell’anno della successiva dichiarazione.
La detrazione non spetta in caso di omessa dichiarazione o omessa indicazione di redditi esteri, e se il reddito estero concorre parzialmente alla formazione del reddito complessivo anche la detrazione è ridotta in misura corrispondente.
Relativamente all’applicabilità del regime forfettario occorre ricordare che l’impresa può accedervi qualora venga a rispettare le condizioni di seguito riportate.
Infatti, il regime forfettario è un regime fiscale per le imprese e i professionisti di minori dimensioni. Si tratta della c.d. “flat tax” per le partite IVA che prevede agevolazioni fiscali e contributive, a patto di rispettare i requisiti di accesso e permanenza nel regime.
La Legge n. 190/2014, così come modificata dalla Legge n. 208/2015, ha introdotto, il regime fiscale forfettario. Tale regime è stato modificato dapprima dalla Legge n. 145/2018 e poi dal D.L. n 124/2019.
Il regime forfettario è un regime fiscale agevolato, volto ad incentivare l’apertura e la gestione di attività commerciali o professionali di dimensioni minori o in fase di sviluppo. Per questo motivo prevede minori adempimenti e oneri da sostenere. Per questi soggetti resta comunque salva la facoltà di adottare i regimi fiscali ordinari con applicazione dell’IVA.
In primo luogo si deve rammentare che il regime forfettario applica il c.d. criterio di cassa, ovvero viene a computare il reddito d’impresa esclusivamente in base al medesimo parametro. Ovvero sulla base dei ricavi o compensi percepiti nel periodo di imposta. A questo reddito è applicato un coefficiente di redditività, che tiene conto delle spese applicate in modo forfettario. Al reddito imponibile così determinato è applicata una imposta sostitutiva del 5% (per i primi cinque anni), che poi a regime passa al 15%. Il pagamento delle imposte avviene con la dichiarazione dei redditi.
Tuttavia, per quanto attiene alle spese sostenute per l’esercizio dell’attività, esse non possono essere dedotte analiticamente dal reddito.
Ad eccezione dei contributi previdenziali versati in ciascun periodo di imposta. Al posto della deduzione analitica dei costi, però, è prevista una deducibilità forfettaria, con una aliquota in percentuale sul reddito che varia a seconda dell’attività esercitata.
Vi è un ulteriore vantaggio connesso al regime forfettario è l’esclusione dall’applicazione dell’IVA e, conseguentemente, né deriva anche l’impossibilità di detrarsi l’IVA in acquisto. Chi opera in Regime Forfettario ai fini IVA è equiparato ad un “privato”. Il regime forfettario gode dell’esclusione dall’applicazione delle ritenute di acconto.
Dal punto di vista pratico esistono alcuni criteri che devono essere rispettati per poter essere ammessi al regime forfettario. Pertanto, possono accedervi le imprese che hanno percepito ricavi o compensi non superiori a 65.000,00 euro. Questo elemento è totalmente svincolato dal singolo Codice Ateco applicato all’attività.
Per applicare il Regime forfettario, nell’anno precedente l’azienda non aver sostenuto spese per il personale superiori ai 20.000,00 euro. Nelle spese sostenute per il personale rientrano, oltre che ai costi per dipendenti, anche tutti i compensi erogati ad eventuali collaboratori.
Infine, per ciò che attiene ai beni strumentali, non si ravvisa l’esistenza di alcuno specifico requisito.
Da ultimo deve ricordarsi che i requisiti di cui sopra dovranno essere mantenuti anche successivamente e, quindi, non solo nella fase iniziale della vita aziendale.
Al fine di meglio inquadrare le peculiari caratteristiche qui indicate si rimanda al seguente schema riassuntivo:

Per quanto attiene agli adempimenti contabili richiesti nel regime forfettario si segnala l’esonero dagli obblighi di registrazione e tenuta delle scritture contabili. Tuttavia permane l’obbligo di numerare e conservare le fatture d’acquisto e le bollette doganali nonché di certificare i corrispettivi.
In aggiunta va riferito l’obbligo di presentare la dichiarazione dei redditi nei termini e con le scadenze previste dal DPR n. 322/98. I ricavi conseguiti e i compensi percepiti non sono assoggettati a ritenuta d’acconto.
La Legge n. 228/2012, articolo 1, commi da 491 a 500, ha introdotto nel nostro ordinamento l’imposta sulle transazioni finanziarie, c.d. Tobin Tax.
L’imposta sulle transazioni finanziarie si applica ai trasferimenti di proprietà di azioni ed altri strumenti finanziari partecipativi, alle operazioni su strumenti finanziari derivati ed altri valori mobiliari. Nonché alle operazioni ad “alta frequenza“ come definite della Legge n. 228/2012.
Per una migliore individuazione delle stesse che sono generalmente soggette all’imposta con aliquota dello 0,02%. Deve trattarsi di azioni e strumenti partecipativi emessi da parte di soggetti residenti in Italia.
L’imposta non si applica tuttavia per il trasferimento della proprietà di azioni o quote di organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) e SICAV (società di investimento a capitale variabile).
La TobinTax opera dal 1° marzo 2013 ma per i derivati, la decorrenza è stata decisa a partire dal 1° luglio 2013.
L’imposta in commento è dovuta con aliquota pari allo 0,2% del valore della transazione. Ovvero ridotta allo 0,1% per i trasferimenti conclusi nei mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione.
L’imposta è dovuta dai soggetti in favore dei quali avviene il trasferimento della proprietà dei titoli, prescindendo dalla residenza e dal luogo di conclusione del contratto. Non rileva inoltre la natura giuridica delle controparti: sono tassate le transazioni poste in essere da persone fisiche, da persone giuridiche o da enti diversi.
L’imposta non si applica invece alle azioni e strumenti finanziari emessi da società con sede legale all’estero. Sono irrilevanti ai fin impositivi (i.e. esenti dall’imposta) gli stessi passaggi di proprietà di quote di S.r.l., partecipazioni in società di persone od enti a base associativa.
Il versamento dell’imposta sulle transazioni finanziarie è operato dal soggetto responsabile (intermediari finanziari, notai; etc.) in sede di formazione od autentica degli atti traslativi. Questo entro il giorno 16 del mese successivo a quello del trasferimento della proprietà.
Gli intermediari non residenti possano nominare un rappresentante fiscale in Italia che adempia agli obblighi di versamento e dichiarativi. Obblighi che possono essere richiesti dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate con relativo provvedimento, derivanti dalla Tobin Tax.
Il rappresentante fiscale rimane solidalmente responsabile con l’intermediario non residente per l’adempimento delle obbligazioni.
Il regime sanzionatorio è previsto dal decreto medesimo che stabilisce che, ai fini dell’accertamento, della riscossione e delle conseguenti sanzioni applicabili, la Tobin Tax è soggetta alle norme in materia di IVA, se dovuta, e si ritiene a quelle generali in materia di accertamento, riscossione e sanzionatoria (D. Lgs. n. 471/1997).
Il Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate 18 luglio 2013 individua come responsabili del versamento dell’imposta le banche e le imprese di investimento (le SIM). Questo anche se non residenti quando siano autorizzati nel proprio Stato di origine ad attività assimilate a quelle di negoziazione per conto proprio, all’esecuzione di ordine per conto dei clienti e alla ricezione e trasmissione degli ordini.
Il Provvedimento ribadisce quanto già stabilito dal Decreto Attuativo per le transazioni nelle quali intervengano più intermediari tra quelli individuati come responsabili dell’imposta. In tali circostanze, è obbligato al versamento l’intermediario che ha ricevuto l’ordine di esecuzione direttamente dall’acquirente o dalla controparte finale.

7.3 Attività di negoziazione per conto proprio e gestione del proprio patrimonio
Per prima cosa occorre ricordare che la Consob ha avuto modo di precisare la differenza tra l’attività di negoziazione per conto proprio (servizio di investimento) rispetto all’attività di investimento del proprio patrimonio: “la caratteristica essenziale dell’attività svolta dagli intermediari negoziatori in proprio” è la ‶messa a disposizione del pubblico degli investitori″ del portafoglio di valori mobiliari detenuto dalla società “per soddisfare, tramite compravendite, le loro esigenze di investimento o disinvestimento”. Da tale proprium discende che l’attività “di investimento delle proprie disponibilità finanziarie in valori mobiliari […] non costituisce, ai sensi delle disposizioni vigenti, attività di intermediazione mobiliare. Essa infatti non ha nulla a che vedere con l’attività di negoziazione per conto proprio … in quanto le compravendite di valori mobiliari avverrebbero sempre ad iniziativa della società e non su richiesta e nell’interesse del pubblico degli investitori” (Comunicazione n. DAL/RM/95003079 del 19 aprile 1995).
Ai fini della presente ricerca, è utile ricordare che, la negoziazione per conto proprio, è l’attività con cui l’intermediario, su ordine del cliente, gli vende strumenti finanziari di sua proprietà ovvero li acquista direttamente dal cliente stesso.
Pertanto, nell’attività di negoziazione per conto proprio l’intermediario:
• impegna “posizioni proprie” e cioè soddisfa le esigenze di investimento o di disinvestimento della clientela con strumenti finanziari già presenti nel proprio portafoglio;
• entra nel contratto di compravendita come controparte diretta dei clienti;
• esegue gli ordini dei clienti.
Così intesa, l’attività di negoziazione per conto proprio costituisce una modalità di svolgimento di un autonomo servizio di investimento: l’esecuzione di ordini per conto dei clienti.
Ne consegue che l’intermediario che negozia per conto proprio non solo deve essere autorizzato per questo servizio ma, anche, per il servizio di esecuzione di ordini per conto dei clienti.
Mentre nel caso di gestione del proprio patrimonio, la situazione è meno complessa in quanto l’intermediario non utilizza i fondi di terzi ma si limita ad eseguire operazioni mediante l’investimento e il piazzamento di proprie dotazioni.
In questa seconda ipotesi vengono meno gran gli obblighi informativi previsti dalla MiFID 2, ciò in quanto non vi è attività di commercializzazione verso terzi soggetti.

7.4 Il trattamento fiscale della partecipazione agli OICR
Sui redditi di capitale derivanti dalla partecipazione agli Organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) è applicata una ritenuta del 26% (al 12,5% per i redditi su titoli del debito pubblico ed equiparati).
La ritenuta è applicata sull’ammontare dei proventi distribuiti in costanza di partecipazione al fondo e dei proventi derivanti dalla differenza tra il valore di rimborso, liquidazione o cessione delle quote e il costo medio ponderato di sottoscrizione o acquisto delle quote medesime, al netto del 51,92 per cento della quota dei proventi riferibili alle obbligazioni e agli altri titoli pubblici italiani ed equiparati, alle obbligazioni emesse dagli Stati esteri inclusi nella white list c.d. Paesi collaborativi, e alle obbligazioni emesse da enti territoriali dei suddetti Stati. Ciò al fine di garantire una tassazione dei predetti proventi nella misura del 12,50%.
I proventi riferibili ai titoli pubblici italiani e esteri sono determinati in proporzione alla percentuale media dell’attivo investita direttamente, o indirettamente per il tramite di altri organismi di investimento, indipendentemente che siano italiani ed esteri comunitari (armonizzati e non armonizzati) ovvero soggetti a vigilanza istituiti in Stati UE e SEE inclusi nella white list, nei titoli medesimi.
Tra le operazioni di rimborso sono comprese anche quelle realizzate mediante conversione delle quote da un comparto ad altro comparto del medesimo fondo. La ritenuta è altresì applicata nell’ipotesi di trasferimento delle quote a rapporti di custodia, amministrazione o gestione intestati a soggetti diversi dagli intestatari dei rapporti di provenienza, anche se il trasferimento sia avvenuto per successione o donazione.
La ritenuta è applicata a titolo d’acconto sui proventi percepiti nell’esercizio di attività di impresa commerciale e a titolo d’imposta nei confronti di tutti gli altri soggetti, compresi quelli esenti o esclusi dall’imposta sul reddito delle società.
La ritenuta non si applica sui proventi distribuiti agli altri organismi di investimento italiani, alle forme pensionistiche complementari istituite in Italia, alle imprese di assicurazione e relativi a quote comprese negli attivi posti a copertura delle riserve matematiche dei rami vita nonché ai soggetti esteri che risiedono, ai fini fiscali, in Paesi che consentono un adeguato scambio di informazioni.
Pertanto, ai fini dell’applicazione della ritenuta in argomento i predetti soggetti sono trattati come soggetti lordisti.
La legge di bilancio 2021 (commi da 631 a 633), ha allineato il trattamento fiscale dei dividendi e delle plusvalenze conseguiti da OICR di diritto estero, istituiti in Stati membri dell’Unione europea o in Stati aderenti all’Accordo sullo spazio economico europeo che consentono un adeguato scambio di informazioni, a quello dei dividendi e delle plusvalenze realizzati da OICR istituiti in Italia, estendendo le esenzioni già previste per i dividendi e le plusvalenze realizzate dagli OICR (diversi da quelli immobiliari e da quelli con sede in Lussemburgo) istituiti in Italia.

7.5 Il trattamento fiscale sul trading alla luce dei recenti pareri, circolari e interpelli dell’Agenzia delle Entrate
In ossequio alle richieste riferiteci, appare utile richiamare l’opinione dell’Agenzia delle Entrate in merito a varie questioni che, per la loro delicatezza negli aspetti fiscali, meritano di essere riferite per esteso.
Il primo tema cruciale per la nostra trattazione è relativo all’applicabilità delle disposizioni previste dall’Articolo 162-bis del TUIR di cui al d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 per le società che detengono strumenti finanziari per conto dei soci così come definito con la risposta n. 266 del 19 aprile 2021.
L’interpretazione realizzata dalla dall’Agenzia delle Entrate è particolarmente significativa e se ne riporta integralmente il contenuto “L’articolo 162-bis del TUIR – introdotto a seguito delle modifiche apportate con le disposizioni normative di cui all’articolo 12 del decreto legislativo 29 novembre 2018, n. 142, di recepimento delle direttive “ATAD” (Anti Tax Avoidance Directive) – dispone che: «Ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive di cui al decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, si definiscono:
a) intermediari finanziari […];
b) società di partecipazione finanziaria: i soggetti che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni in intermediari finanziari;
c) società di partecipazione non finanziaria e assimilati: 1) i soggetti che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni in soggetti diversi dagli intermediari finanziari; 2) i soggetti che svolgono attività non nei confronti del pubblico di cui al comma 2 dell’articolo 3 del regolamento emanato in materia di intermediari finanziari in attuazione degli articoli 106, comma 3, 112, comma 3 e 114 del decreto legislativo 1° settembre 1993, n. 385, nonché dell’articolo 7-ter, comma 1-bis, della legge 30 aprile 1999, n. 130». L’inclusione tra i soggetti di cui alle citate lettere b) e c) del comma 1 è legata alla composizione del totale dell’attivo patrimoniale, come stabilito dai successivi commi 2 e 3.
In particolare, ai sensi del comma 2, «l’esercizio in via prevalente di attività di assunzione di partecipazioni in intermediari finanziari sussiste, quando, in base ai dati del bilancio approvato relativo all’ultimo esercizio chiuso, l’ammontare complessivo delle partecipazioni in detti intermediari finanziari e altri elementi patrimoniali intercorrenti con gli stessi, unitariamente considerati, inclusi gli impegni ad erogare fondi e le garanzie rilasciate, sia superiore al 50 per cento del totale dell’attivo patrimoniale, inclusi gli impegni ad erogare fondi e le garanzie rilasciate […]».
Inoltre, secondo quanto disposto dal successivo comma 3, «l’esercizio in via prevalente di attività di assunzione di partecipazioni in soggetti diversi dagli intermediari finanziari sussiste, quando, in base ai dati del bilancio approvato relativo all’ultimo esercizio chiuso, l’ammontare complessivo delle partecipazioni in detti soggetti e altri elementi patrimoniali intercorrenti con i medesimi, unitariamente considerati, sia superiore al 50 per cento del totale dell’attivo patrimoniale». Al fine della verifica della prevalenza de qua, entrambi i commi in parola fanno riferimento ai «dati del bilancio approvato relativo all’ultimo esercizio chiuso».
In proposito, con la risposta a interpello n. 40 del 13 gennaio 2021 la scrivente ha chiarito che: – la valutazione sulla prevalenza deve essere operata al momento di presentazione della dichiarazione dei redditi, ne consegue che, tenuto conto degli ordinari termini di scadenza per la presentazione della medesima, il bilancio cui fanno riferimento i predetti commi 2 e 3 è quello relativo all’esercizio sociale coincidente con il periodo d’imposta oggetto della dichiarazione; – l’attività prevalente di “assunzione di partecipazioni”, ai sensi del sopracitato articolo 162-bis del TUIR sussiste, in primis, quando gli elementi summenzionati siano superiori al 50 per cento dell’attivo di stato patrimoniale, ancorché le stesse voci riferite alle partecipazioni finanziarie e quelle concernenti le partecipazioni non finanziarie, prese distintamente, non siano prevalenti rispetto al totale dell’attivo di stato patrimoniale.
Ciò posto, nel caso si specie, si è in presenza di un soggetto la cui attività consiste nella gestione di un portafoglio finanziario (che include partecipazioni ed altri strumenti finanziari) al solo scopo di impiego della liquidità, non per conto terzi, cioè avvalendosi di patrimonio proprio con esclusione di qualsiasi forma di mandato ad operare da parte di terzi, di clienti ovvero di altri intermediari finanziari. Secondo quanto dichiarato dall’istante in sede di documentazione integrativa, dal bilancio della società chiuso al 31 dicembre 2019 emerge che, a fronte di una consistenza dell’attivo di stato patrimoniale al 31 dicembre 2019 pari a circa [omissis] euro: – le attività finanziarie immobilizzate ammontano a circa [omissis] euro (di cui circa [omissis] di investimenti in fondi chiusi e circa [omissis] di polizze vita); – il resto dell’attivo risulta costituito in massima parte da attività finanziarie iscritte nel circolante (circa [omissis] euro, suddivisi tra partecipazioni in altre imprese e altri titoli negoziabili) e da disponibilità liquide (circa [omissis]).
La modalità operativa con cui l’istante svolge un’attività che, al momento e sulla base di quanto riferito nell’istanza, seppur effettuata in qualità di investitore professionale, non dà origine a rapporti finanziari con soggetti terzi, consente di escludere che la detenzione di titoli partecipativi di «enti finanziari», a prescindere dalla circostanza per cui il relativo ammontare rappresenti il valore prevalente dell’attivo, possano determinare il superamento delle soglie per cui lo stesso sarebbe incluso tra i soggetti di cui alla lettera a), del comma 1, dell’articolo 162-bis del TUIR (i.e. vigilati dalla Banca d’Italia).
Diversamente, con riferimento ai soggetti qui in esame, sul piano sostanziale, si configura la medesima fattispecie in termini di evoluzione del regime pubblicistico di vigilanza subita dai soggetti assimilati alle società di partecipazione finanziaria, menzionati al numero 2), della lettera c), del comma 1 dell’articolo 162-bis del TUIR.
Con riferimento alla possibile inclusione dell’istante tra i soggetti di cui alle lettere b) e c) del citato comma 1, stante la ratio sottesa a tali disposizioni – volte a individuare le partecipazioni e gli altri elementi intercorrenti con le partecipate – le partecipazioni acquisite a fini meramente speculativi non rientrano tra quelle soggette al test di prevalenza (identificabili in quanto rilevate nell’attivo circolante).
Vi rientrano, invece, quelle partecipazioni che, acquisite come immobilizzazioni finanziarie, sono state successivamente collocate nel circolante in attesa di realizzo. Alla luce della summenzionata composizione dell’attivo di bilancio, in merito al primo quesito, nel presupposto della corretta contabilizzazione delle attività detenute, la Società istante per le peculiari modalità operative con cui opera, ai fini tributari, per l’anno di imposta 2019 non deve essere ricondotta ad alcuno dei soggetti di cui all’articolo 162-bis del TUIR.
Ciò posto, per quanto concerne i conseguenti oneri comunicativi all’archivio dei rapporti finanziari e ai fini FATCA/CRS (disposizioni in materia di scambio automatico di dati fiscali tra Stati), si osserva quanto segue (secondo quesito).
L’interpellante svolge una attività finanziaria che ricade nell’ambito di applicazione della Direttiva europea c.d. MIFID 2 (Direttiva UE del 2014/65 in vigore in Italia dal 3 gennaio 2018).
Come noto, tale Direttiva è tesa a regolamentare i mercati finanziari dell’Unione europea e si applica a tutte le imprese di investimento in essi operanti. Posto che la Direttiva definisce quale «impresa di investimento» qualsiasi persona giuridica la cui occupazione o attività abituale consiste nel prestare uno o più servizi di investimento a terzi e/o nell’effettuare una o più attività di investimento a titolo professionale (articolo 4, n. 1), da un punto di vista soggettivo l’interpellante riveste la qualifica di operatore finanziario.
Tale qualifica, per la rilevanza che assume nell’ordinamento nazionale con particolare riferimento alla normativa secondaria di diretta emanazione dell’Agenzia, comporta l’obbligo della comunicazione di un indirizzo di posta elettronica certificata da iscrivere nel Registro Elettronico degli Indirizzi istituito dal Provvedimento del Direttore dell’Agenzia del 22 dicembre 2005. La comunicazione della PEC deve essere effettuata secondo le disposizioni contenute del Provvedimento del 10 maggio 2017, per la sezione del REI “Indagini Finanziarie” e con codice operatore residuale “16” a meno dell’avvenuta iscrizione in uno degli albi/elenchi di vigilanza che ne determinino altro codice specifico.
Dal punto di vista oggettivo, l’istante svolge attività finanziaria consistente nella negoziazione di strumenti finanziari per conto proprio (e, in particolare, per conto del proprio socio unico), in “contropartita diretta”, cioè avvalendosi di patrimonio proprio con esclusione di qualsiasi forma di mandato ad operare da parte di terzi, clienti ovvero altri intermediari finanziari. L’attività svolta esclude, sulla base di quanto dichiarato dall’istante, qualsiasi forma di retrocessione del risultato della negoziazione a clienti.
Tale modalità operativa non dà origine a rapporti finanziari con soggetti terzi, e pertanto, al momento e sulla base di quanto riferito nell’istanza, la società istante non deve effettuare la comunicazione prevista all’articolo 7, sesto comma, del d.P.R. n. 605 del 1973.
Per quanto concerne gli obblighi relativi alla normativa statunitense Foreign Account Tax Compliance Acta (FATCA), al Common Reporting Standard (CRS) e alla direttiva 2014/107/UE del Consiglio, del 9 dicembre 2014, recante modifica della direttiva 2011/16/UE (che ha sostanzialmente mutuato le previsioni del CRS), si osserva quanto segue.
Nell’ordinamento interno, tali obblighi trovano base giuridica nella legge 18 giugno 2015, n. 95 e sono disciplinati dalle fonti secondarie di attuazione, consistenti nel decreto ministeriale 6 agosto 2015 (relativo al FATCA) e nel decreto ministeriale 28 dicembre 2015 (relativo al CRS e alla direttiva 2014/107/UE), che ne individuano l’ambito di applicazione soggettivo e oggettivo e ne regolamentano gli aspetti procedurali. In base ai citati decreti, sono tenute agli obblighi di due diligence e comunicazione le istituzioni finanziarie italiane che siano istituzioni di deposito, istituzioni di custodia, imprese di assicurazione specificate o entità di investimento.
Da quanto emerge dall’istanza, tra tutte le istituzioni finanziarie italiane tenute alla comunicazione, Delta potrebbe astrattamente rientrare nella categoria delle entità di investimento. Per essere considerata un’entità di investimento tenuta agli adempimenti FATCA/CRS, in applicazione rispettivamente dell’articolo 1, n. 5), lettera c) del D.M. 6 agosto 2015 e dell’articolo 1, comma 1, lettera h), del D.M. 28 dicembre 2015, è necessario che ricorrano determinate caratteristiche.
In buona sostanza, un’istituzione finanziaria italiana integra la qualifica di entità di investimento se: A) la stessa svolge attività di investimento per conto terzi;
ovvero B) il suo reddito lordo è principalmente attribuibile ad investimenti, reinvestimenti, o negoziazione di attività finanziarie, se l’entità è gestita da un’istituzione di deposito, un’istituzione di custodia, un’impresa di assicurazioni specificata o un’entità di investimento.
Il requisito sub A) non sembra sussistere nel caso di specie, in quanto l’istante dichiara di agire esclusivamente per conto proprio.
[L’interpellante], infatti, riferisce di svolgere attività di negoziazione di titoli e strumenti finanziari in “contropartita diretta”, cioè avvalendosi di patrimonio proprio con esclusione di qualsiasi forma di mandato ad operare da parte di terzi, clienti ovvero altri intermediari finanziari.
L’attività svolta esclude, altresì, qualsiasi forma di retrocessione del risultato della negoziazione a clienti, in quanto non è previsto che l’istante ne abbia. Nell’assunto che, tenuto conto della composizione partecipativa e gestoria, non ricorra neppure la condizione sub B), si ritiene che l’istante non rientri tra le istituzioni finanziarie italiane tenute agli obblighi di comunicazione di cui all’articolo 4 della legge n. 95 del 2015.
Con riferimento al terzo quesito, si evidenzia che, ai fini IRES e ai fini IRAP, i proventi derivanti dalla gestione degli strumenti finanziari saranno assoggettati alle disposizioni previste per i soggetti diversi da quelli di cui all’articolo 162-bis del TUIR. Inoltre, (quarto quesito) ai fini IRAP si ritiene che l’istante non debba applicare l’aliquota maggiorata prevista per banche ed altri enti e società finanziari ai sensi del comma 9 dell’articolo 6 del decreto legislativo del 15 dicembre 1997, n. 446, essendo riconducibile all’articolo 5 del citato Decreto IRAP.
Da ultimo, (quinto quesito) per la società trova applicazione quanto stabilito dall’articolo 24, comma 1, del decreto-legge 19 maggio 2020, n. 34 (decreto Rilancio), non rientrando la stessa tra le categorie escluse dal successivo comma 2 del medesimo articolo 24, in qualità di soggetto di cui all’articolo 162-bis del TUIR (intermediari finanziari e società di partecipazione)”.
La seconda risposta ad interpello che si ritiene utile richiamare è la n. 121 del 24 aprile 2020 riguardante le Società di gestione di un portafoglio finanziario.
Prima di tutto va ricordato che il D. Lgs. n. 142 del 2018 ha introdotto, nell’ambito delle disposizioni del testo unico delle imposte sui redditi, l’articolo 162-bis, con l’intento di individuare, in ambito fiscale, gli intermediari finanziari e le c.d. società di partecipazione (indipendentemente che esse siano finanziarie o meno).
Qualora vi sia una società che svolga attività di gestione di un portafoglio finanziario, occorre evidenziare che, la normativa, individua, le società di partecipazione finanziaria, come i soggetti che esercitano in via esclusiva o prevalente l’attività di assunzione di partecipazioni in intermediari finanziari.
Inoltre, definisce le società di partecipazione non finanziaria come il soggetto che esercita, in via esclusiva o prevalente, l’attività di assunzione di partecipazioni in soggetti diversi dagli intermediari finanziari.
Infine, la norma in esame, definisce come società assimilate a quelle di partecipazioni non finanziaria, le realtà che svolgono attività non nei confronti del pubblico.
In tal caso, la base imponibile IRES e IRAP si determina sempre secondo le modalità previste per le società diverse da quelle di cui all’articolo 162-bis del TUIR.
Ciò avviene qualora il portafoglio dalla società detenuto, è composto unicamente da Exchange Traded Commodity (ETC) emessi da una società veicolo a fronte dell’investimento in una materia prima.
Circa gli obblighi informativi all’anagrafe tributaria, occorre evidenziare che la società svolge una attività finanziaria che ricade nell’ambito di applicazione della Direttiva europea c.d. MIFID 2.
Come noto, tale Direttiva è tesa a regolamentare i mercati finanziari dell’Unione europea e si applica a tutte le imprese di investimento in essi operanti.
Posto che la Direttiva definisce, quale impresa di investimento, qualsiasi persona giuridica la cui occupazione, o attività abituale, consiste nel prestare uno o più servizi di investimento a terzi e/o nell’effettuare una o più attività di investimento a titolo professionale, dal un punto di vista soggettivo la società riveste la qualifica di operatore finanziario.
Tale qualifica, comporta l’obbligo della comunicazione di un indirizzo di posta elettronica certificata da iscrivere nel Registro Elettronico degli Indirizzi istituito dal Provvedimento del Direttore dell’Agenzia delle Entrate.
La comunicazione della PEC deve essere effettuata secondo le disposizioni contenute del Provvedimento del 10 maggio 2017, per la sezione del REI “Indagini Finanziarie” e con codice operatore residuale “16” a meno dell’avvenuta iscrizione in uno degli albi/elenchi di vigilanza che ne determinino altro codice specifico.
Dal punto di vista oggettivo, la società svolge attività finanziaria consistente nella negoziazione di titoli derivati su merci per conto proprio, in “contropartita diretta”, cioè avvalendosi di patrimonio proprio con esclusione di qualsiasi forma di mandato ad operare da parte di terzi, clienti ovvero altri intermediari finanziari.
L’attività svolta, pertanto, esclude qualsiasi forma di retrocessione del risultato della negoziazione a clienti.
Per cui questa modalità operativa non dà origine a rapporti finanziari con soggetti terzi e, pertanto, la società non deve effettuare la comunicazione all’anagrafe tributaria prevista all’articolo 7, sesto comma, del d.P.R. n. 605 del 1973.
La terza questione che si intende affrontare riguarda la disciplina dei c.d. dei redditi diversi di natura finanziaria derivanti da investimenti effettuati, sul mercato Forex da persone fisiche, al di fuori dell’attività d’impresa, mediante software house.
In particolare, l’Agenzia delle Entrate nella risoluzione 71/E del’1° settembre 2016, ha risposta all’interpello di un contribuente che ha subito delle perdite a seguito di investimenti in operazioni finanziarie sul mercato Foreign Exchange Market e in opzioni binarie, presso broker internazionali, localizzati sia nell’area Ue (Cipro, Londra) sia in aree a fiscalità privilegiata (Seychelles e Nevis), attraverso piattaforme on line.
Nella circostanza, l’Agenzia delle entrate, ha ribadito quanto già detto nel 2011 per i contratti conclusi sul mercato Forex, ritiene che anche i redditi derivanti dalle opzioni binarie, alla luce di quanto chiarito dalla Consob e dalla Commissione europea nel 2012, vadano inquadrati tra i redditi diversi ex articolo 67, comma 1, lettera c-quater, del Tuir, soggetti, qualora percepiti da persona fisica non esercente attività d’impresa a imposta sostitutiva del 26%.
Sul tema, come si diceva, è intervenuta l’Agenzia delle Entrate che, in risposta ad uno specifico interpello ha formulato la Risposta n. 490/2021 specificando che, in detta situazione, sono da richiamarsi “le risoluzioni 25 ottobre del 2011, n. 102/E e 1° settembre del 2016, n.71/E, rispettivamente in merito ai contratti di acquisto e vendita di valuta e alle opzioni binarie. Come noto, la compravendita di valute sul FOREX avviene mediante la conclusione dei cd. contratti “spot” e “rolling spot”.
L’operatività sul mercato FOREX prevede il regolamento delle transazioni mediante l’utilizzo di un margine. Pertanto, è espressamente esclusa la possibilità di consegna fisica dei controvalori della valuta intermediata. Nel caso di contratti spot, la compravendita di valute è regolata giornalmente attraverso una piattaforma elettronica di trading on line per cui le posizioni dei singoli clienti sono aperte e chiuse nella stessa giornata.
Nel caso di contratti rolling spot, le operazioni chiuse al termine della giornata vengono riaperte nella giornata successiva, qualora il cliente abbia convenienza a mantenere in essere, oltre la giornata lavorativa, le posizioni di mercato assunte.
In tale ipotesi, l’intermediario applica un meccanismo di rollover consistente nella chiusura e nella successiva riapertura della posizione, in modo che al termine della giornata lavorativa il cliente non potrà mai avere una giacenza di valuta estera.
Nella risoluzione citata n. 102/E del 2011 è stato chiarito che i contratti di compravendita di valute sul Forex devono essere ricondotti tra i rapporti di cui all’articolo 67, comma 1, lettera c quater), del Testo unico delle imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (TUIR), i cui redditi, se percepiti da parte di un soggetto persona fisica, non esercente attività d’impresa, sono soggetti ad imposta sostitutiva nella misura del 26 per cento ai sensi dell’articolo 5 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461.
Ai medesimi rapporti, di cui all’articolo 67, comma 1, lettera c-quater), devono essere ricondotti anche i contratti in opzioni binarie, secondo quanto chiarito con risoluzione n. 71/E del 2016. Ai sensi della lettera c-quater) costituiscono plusvalenze, i redditi diversi da quelli indicati nelle lettere precedenti del comma 1 dell’articolo 67 del Tuir, « comunque realizzati mediante rapporti da cui deriva il diritto o l’obbligo di cedere od acquistare a termine strumenti finanziari, valute, metalli preziosi o merci ovvero di ricevere o effettuare a termine uno o più pagamenti collegati a tassi di interesse, a quotazioni o valori di strumenti finanziari, di valute estere, di metalli preziosi o di merci e ad ogni altro parametro di natura finanziaria».
Ai sensi dell’articolo 68, comma 8, del Tuir, i suddetti redditi sono costituiti dal risultato che si ottiene facendo la somma algebrica dei differenziali positivi o negativi nonché degli altri proventi od oneri, percepiti o sostenuti, in relazione a ciascuno dei rapporti. Pertanto, il contribuente deve indicare tali redditi nel quadro RT del Modello Redditi PF e autoliquidare l’imposta sostitutiva, eventualmente, dovuta. L’eventuale eccedenza delle minusvalenze risultante nel medesimo quadro RT potrà essere portata in deduzione delle plusvalenze realizzate nei quattro periodi d’imposta successivi”.
In altra occasione l’Agenzia delle Entrate ha avuto modo di chiarire un differente aspetto fiscale che può risultare rilevante. Nel caso di specie la questione riguarda la valutazione sulla possibilità, riferita ad una persona fisica o giuridica esercente attività d’impresa, di portare in deduzione le perdite subite con il trading e se, nel concreto, esse possano essere interamente recuperate nella dichiarazione fiscale dell’anno in cui sono state prodotte.
Sull’argomento il parere dell’Agenzia delle Entrate muove dalla considerazione che l’interpretazione della disciplina fiscale delle operazioni finanziarie, anche se realizzate mediante opzioni binarie, rientrino nelle fattispecie di cui all’articolo 67, comma 1, lettera c-quater), del TUIR, i cui redditi, se percepiti da parte di un soggetto persona fisica, non esercente attività d’impresa, sono soggetti anch’essi ad imposta sostitutiva nella misura del 26%
Quindi ai fini del calcolo dell’imponibile, troverà applicazione il disposto di cui all’articolo 68, comma 8, del TUIR, secondo il quale “i redditi di cui alla lettera c-quater) del comma 1 dell’articolo 67 [sottoposti all’imposta indicata] sono costituiti dalla somma algebrica dei differenziali positivi o negativi, nonché degli altri proventi od oneri, percepiti o sostenuti, in relazione a ciascuno dei rapporti ivi indicati”.
Inoltre, ai sensi dell’articolo 5 del citato d.lgs. n. 461 del 1997 (c.d Regime dichiarativo), il contribuente deve indicare tali redditi nel quadro RT del Modello Unico – Persone Fisiche e autoliquidare l’imposta eventualmente dovuta. Mentre, l’eventuale eccedenza delle minusvalenze risultante nel medesimo quadro RT potrà essere portata in deduzione delle plusvalenze realizzate nei quattro periodi d’imposta successivi. L’opzione per il risparmio amministrato di cui all’articolo 6 del d.lgs. n. 461del 1997 può essere esercitata soltanto in presenza di uno stabile rapporto di mandato, di deposito, custodia o amministrazione presso banche, società di intermediazione mobiliare, società fiduciarie e società di gestione del risparmio residenti in Italia, nonché presso stabili organizzazioni in Italia dei medesimi soggetti non residenti, Poste Italiane S.p.A. e agenti di cambio.
Tale opzione può essere esercitata anche in relazione ai redditi di cui all’articolo 67, comma 1, lettera c-quater), del TUIR con l’ulteriore condizione che i predetti soggetti intervengano in tali rapporti come intermediari professionali o come controparti. Questo regime comporta l’applicazione e il versamento dell’imposta sostitutiva del 26% sui predetti redditi da parte dei suddetti intermediari abilitati e, conseguentemente, solleva i contribuenti dall’obbligo di includere i redditi diversi di natura finanziaria nella propria dichiarazione dei redditi (cfr. Circolare 24 giugno 1998, n. 165).
Per quanto detto, l’Agenzia delle Entrate ha chiarito che “ Nel caso di specie, tenuto conto che i broker esteri non sono uno dei soggetti previsti dalla norma che possono agire come sostituti d’imposta in Italia, si ritiene che il contribuente debba indicare i redditi diversi derivanti dai rapporti in oggetto nel quadro RT – denominato “Plusvalenze di natura finanziaria” – sezione II, righi da RT 21 a RT 30, di Unico PF 2016 per la cui compilazione si rinvia alle relative istruzioni (regime dichiarativo). Le eventuali quote residue delle minusvalenze risultanti dalla sezione II devono essere riportate nel rigo RT93, colonna 5. Ai fini del calcolo delle plusvalenze/minusvalenze, il contribuente si deve avvalere delle certificazioni rilasciate dai broker esteri, che devono essere conservate dal contribuente ai fini di un eventuale riscontro richiesto dagli organi dell’Amministrazione Finanziaria. Si fa presente, inoltre, che i rapporti che il contribuente detiene con i broker esteri rientrano tra i contratti derivati e altri rapporti finanziari stipulati al di fuori del territorio dello Stato, pertanto tali rapporti devono essere: – indicati, ai sensi dell’articolo 4, comma 1, del decreto legge 28 giugno 1990, n. 167, convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 1990, n. 227, nel quadro RW della propria dichiarazione annuale dei redditi, in quanto tali rapporti sono suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia (cfr. circolare 23 dicembre 2013, n. 38/E); – assoggettati all’imposta sul valore delle attività finanziarie detenute all’estero (IVAFE, cfr. circolare 2 luglio 2012, n. 28/E). Per le modalità applicative dell’IVAFE e la compilazione del quadro RW, si rinvia alle relative istruzioni contenute nel fascicolo 2 di Unico PF 2016”.
Con Circolare n. 102/E/2011 dell’Agenzia delle Entrate ha chiarito che “occorre tener presente che l’articolo 9, comma 7, del decreto legislativo 3 agosto 2010, n. 141 è successivamente intervenuto modificando l’articolo 1, comma 4, del decreto legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria – TUF ). Per effetto di tale modifica è ora previsto che i contratti di acquisto e vendita di valuta, estranei a transazioni commerciali e regolati per differenza anche mediante operazioni di rinnovo automatico (cd. “roll-over”), rientrano tra i “contratti finanziari differenziali” i quali ai sensi del medesimo testo unico sono considerati strumenti finanziari derivati. Analogamente, sono da considerarsi strumenti finanziari riconducibili alla categoria dei contratti “differenziali” quelli di compravendita in valuta che, pur in assenza di clausole contrattuali che prevedano espressamente il rinnovo automatico, presentino caratteristiche tali da consentire di mantenere aperte overnight le posizioni a fine giornata (con conseguente trasformazione della posizione spot in una posizione a termine).
Ciò posto, considerato che l’interpretazione della disciplina fiscale delle operazioni finanziarie non può prescindere dalle disposizioni civilistiche che regolano le medesime operazioni, è necessario tener conto della nuova qualificazione operata dal TUF.
Pertanto, si ritiene che i contratti in esame debbano essere ricondotti tra i rapporti di cui all’articolo 67, comma 1, lettera c-quater), del TUIR, i cui redditi, se percepiti da parte di un soggetto persona fisica, non esercente attività d’impresa, sono soggetti ad imposta sostitutiva a norma dell’articolo 5 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461.
Ai sensi dell’articolo 68, comma 8, del TUIR, i suddetti redditi sono costituiti dal risultato che si ottiene facendo la somma algebrica dei differenziali positivi o negativi nonché degli altri proventi od oneri, percepiti o sostenuti, in relazione a ciascuno dei rapporti.
Alla luce di quanto sopra esposto, i chiarimenti forniti con la risoluzione n. 67/E del 6 luglio 2010 devono ritenersi non più attuali a decorrere dal 19 settembre 2010 (data di entrata in vigore dell’articolo 9, comma 7, del citato decreto legislativo n. 141 del 2010).
L’articolo 67, comma 1-ter del TUIR dispone che: “Le plusvalenze derivanti dalla cessione a titolo oneroso di valute estere rivenienti da depositi e conti correnti concorrono a formare il reddito a condizione che nel periodo d’imposta la giacenza dei depositi e conti correnti complessivamente intrattenuti dal contribuente, calcolata secondo il cambio vigente all’inizio del periodo di riferimento sia superiore a cento milioni di lire (€. 51.645,69) per almeno sette giorni lavorativi continui”.
Per il calcolo della giacenza complessiva devono essere sommati tutti i controvalori dei depositi e conti intrattenuti anche di valute diverse e su diversi intermediari.

  1. Codici ATECO
    Dall’analisi svolta i codici ATECO più consoni all’attività di trading risultano essere i seguenti:
    Codice ATECO 74.90.99 Altre attività Professionali nca
    Codice ATECO 64.99.60 Altre attività di servizi finanziari nca
    Attività prevista: assunzione di partecipazioni, investimenti per conto proprio in titoli o altri strumenti finanziari.
    Codice ATECO SIM 64.99.10 Attività di intermediazione mobiliare.
    SOGLIA PER IL REGIME FORFETTARIO: Possono accedere al Regime Forfettario con aliquota al 15% le attività che non superano la soglia di ricavi annuale pari a 65.000 euro.
    SOGLIA PER IL REGIME FORFETTARIO: Possono accedere al Regime Forfettario con aliquota al 15% le attività che non superano la soglia di ricavi annuale pari a 65.000 euro.
    Codice ATECO: 64.30.10 Fondi comuni di investimento (aperti e chiusi, immobiliari, di mercato mobiliare).
    Codice ATECO: 64.30.20 Sicav (Società di investimento a capitale variabile).
    Codice ATECO: 64301 – Fondi comuni di investimento (aperti e chiusi, immobiliari, di mercato mobiliare).
    Roma, lì 10 febbraio 2022

Ringraziamenti
La Redazione ringrazia per l’ottima Relazione Tecnica L’Avvocato Gabriele Pacifici Nucci.

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